il manifesto 5.2.16
Viaggio intorno a una clinica pratica e «situazionale»
«Oltre le passioni tristi» del filosofo e psicoanalista Miguel Benasayag edito da Feltrinelli
di Elif Sanem Karakoç Niccolò Nisivoccia
In
un certo senso, il nuovo libro del filosofo e psicoanalista argentino,
ma da anni residente in Francia, Miguel Benasayag – Oltre le passioni
tristi, appena pubblicato da Feltrinelli (pp. 155, euro 18) – inizia
dove finiva, dello stesso Benasayag insieme a Gérard Schmit, L’epoca
delle passioni tristi (pubblicato sempre da Feltrinelli nel 2004); e non
soltanto per l’evocazione contenuta nel titolo (peraltro assente nel
titolo originale, Clinique du mal-être). Ne costituisce una
prosecuzione, un approfondimento, a partire dal medesimo paesaggio
psicosociale di riferimento: vivevamo allora e continuiamo a vivere
oggi, secondo Benasayag, in un’epoca nella quale uomini e donne, e
soprattutto i giovani, sembrano essere divenuti incapaci di affrontare
la complessità del mondo, di accettarne le implicazioni e le
conseguenze, e le crisi sociali ed economiche esplose negli ultimi anni
hanno perfino aggravato, ed è comprensibile, i disagi e le sofferenze.
La vita fa sempre più paura, il futuro è sempre più una minaccia anziché
una promessa; e questa paura, questa incombenza hanno generato sempre
più solitudine.
Dal suo osservatorio di clinico pratico oltre che
teorico, Benasayag vede dunque persone sempre più isolate non solo dagli
altri ma anche da sé stesse, e sempre più votate a coltivare ideali
individualistici e materialistici, come se solo questo potesse offrire
rimedio o almeno conforto: «nella crisi attuale, che è crisi dei
fondamenti della cultura – scriveva già dieci anni fa Benasayag – l’homo
oeconomicus supplisce alla mancanza di senso con l’economia, che
diventa per lui il senso della vita e per la vita». L’epoca delle
passioni tristi individuava una soluzione possibile – vale a dire una
possibile direzione di cura, dal punto di vista della psicoterapia, ma
anche una possibile forma di resistenza personale, rimessa a ciascuno –
nell’immaginazione di orizzonti diversi, nei quali all’utilitarismo si
sostituisse la gratuità dell’essere e del fare: dovremmo imparare,
suggeriva Benasayag, a seguire il nostro destino quale che sia, non nel
senso di accettarlo come fatalità bensì nel senso di impegnarci a
diventare ciò che siamo davvero. E la ricostruzione dei legami con noi
stessi, concludeva L’epoca delle passioni tristi, è l’unica possibile
strada verso la creazione di nuovi legami con gli altri e con l’esterno.
Esattamente
da qui ricomincia Oltre le passioni tristi: dalla constatazione che,
dieci anni dopo, siamo invece ancora più rinchiusi dentro le nostre
individualità, al punto che le nuove sofferenze psichiche sono diventate
ormai ontologiche a tutti gli effetti. Distrutta ogni interiorità,
venuto meno ogni legame con le parti più profonde di noi stessi e con il
mondo che abitiamo, oggi non sappiamo quasi più chi siamo e cosa
vogliamo, e nulla più ci tocca e ci riguarda. L’epoca postmoderna
(attraverso i suoi mille dispositivi, fra i quali in primo luogo i
social network e l’uso distorto della rete) ha ridotto gli individui,
infine, a puri «profili», «processori d’informazione», «falsi sé»:
ciascuno è, o cerca di essere, ciò che deve secondo il senso comune e
dominante, e niente di più. Ci illudiamo di diventare ciò che siamo, ma
che sia solo un’illusione lo dimostrano proprio le sofferenze di cui lo
stesso Benasayag è testimone come psicoanalista e di cui ci offre molti
esempi: storie di persone giovani o adulte etichettate come «brillanti –
secondo certi parametri di successo», secondo la «cultura della
performance», ma nella realtà incapaci, perché impreparate, a gestire le
proprie fragilità e debolezze. «La postmodernità – scrive Benasayag –
chiama intelligenza la capacità di disintegrarsi quanto basta per
potersi conformare all’esoscheletro di un’impresa», indipendentemente
dal fatto di provare «affinità o interesse» verso quello che l’impresa
produce; ma la vita non si esaurisce mai nella conformazione a modelli
imposti dall’esterno, e ciò che trabocca si trasforma appunto in
sofferenza.
Fondato su queste basi, Oltre le passioni tristi
rappresenta un atto d’accusa ferocissimo contro le terapie psichiche più
in voga, del tutto inadeguate – secondo Benasayag – ad affrontare le
nuove sofferenze. Benasayag imputa in particolare alla psicoanalisi di
aver addirittura tradito se stessa, perché il suo compito sarebbe stato
quello di contrastare, e non di assecondare, l’ideologia dominante, di
cui invece sarebbe divenuta complice nella misura in cui dimostra a sua
volta di «credere che esista solo l’individuo, che conti solo la vita
personale, nello stesso momento in cui tale individuo esiste sempre meno
come persona dotata di un’interiorità e sempre più come un insieme di
moduli senza unità». Ma sarebbe tutto il «campo psi», più in generale,
ad aver abdicato a qualunque funzione oppositiva, accontentandosi di
ridursi a «uno degli spazi più evidenti di sperimentazione per questo
genere di diagnosi, di trattamenti e di terapie che funzionano grazie
all’allestimento di griglie normalizzate».
A tale dogmatismo
Benasayag contrappone una terapia che definisce «situazionale»,
dichiarandone apertamente la derivazione dalla psichiatria
fenomenologica (i cui più illustri esponenti sono stati, nel passato,
Binswanger e Minkowski, e cui oggi appartiene fra gli altri Eugenio
Borgna). Si tratta, dice Benasayag, di far uscire l’individuo dal suo
«io» e di ricollocarlo nel posto che gli spetta, e cioè nel mondo –
nella «situazione» – che abita; ma a questo fine è necessario, prima di
tutto, accogliere le persone, ascoltarle, essere disposti a riconoscerne
l’unicità e l’irripetibilità. Per la terapia situazionale non esistono
diagnosi o cure uguali per tutti, pur a fronte di dati catalogabili in
astratto nello stesso modo, perché il giusto per l’uno potrebbe non
esserlo per l’altro; e non esiste differenza fra realtà psichica interna
ed esterna, perché siamo quel che siamo in virtù di tutto ciò che è
dentro e fuori di noi. Per questo non esiste mai neppure una «fobia» o
un «ricordo doloroso» da cancellare, perché si tratta piuttosto di
«inscriverli in una molteplicità che favorisca la potenza».
Oltre
le passioni tristi è un grande libro, come lo era L’epoca delle passioni
tristi, e chiunque, non solo chi operi nel «campo psi», dovrebbe
leggerlo: Benasayag parla a tutti, e a tutti rivolge un invito – che
similmente, in un bellissimo saggio di tre anni fa, Oltre la paura,
Adolfo Ceretti e Roberto Cornelli avevano declinato, a livello politico,
in termini di «fraternità» – ad aver maggior cura gli uni degli altri.
Sarebbe questa la vera rivoluzione.