il manifesto 26.2.16
Perché non ho votato una legge monca
di Luigi Manconi
Non
ho partecipato al voto sulla questione di fiducia, posta dal governo
sul disegno di legge Cirinnà. Questo è il motivo. Un provvedimento che
aveva come motivo ispiratore il principio di non discriminazione rischia
di introdurre, con lo stralcio della norma sulle adozioni,
un’illegittima disparità di trattamento. Non tanto e non solo tra coppie
eterosessuali e coppie omosessuali, quanto tra figli adottandi di
coppie eterosessuali e di coppie omosessuali.
Ritengo, cioè, che
dallo stralcio della norma sulle adozioni derivi una legge monca, tale
da neutralizzare il valore profondo dell’unione civile e ridurla a mero
sistema di garanzie economiche e sociali: un contratto privato. E ciò in
cambio della rinuncia al suo riconoscimento giuridico-morale. Il che
risulta confermato dalla cancellazione, nel testo approvato, del «dovere
di fedeltà», quasi che venisse esclusa la dimensione affettiva del
rapporto.
Una disciplina che riconosca le unioni civili tra
persone dello stesso sesso avrebbe dovuto rispondere, appunto, al
principio di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale,
come chiarito anche dalla Corte europea dei diritti umani. Questo
vincolo impone, tra l’altro, di applicare la disciplina prevista per
l’adozione del figlio del partner a prescindere dall’orientamento
sessuale di quest’ultimo, valutandone esclusivamente l’idoneità a
svolgere la funzione genitoriale e la qualità del legame stabilito con
il bambino, a tutela del superiore interesse di quest’ultimo. E’ quanto
ha riconosciuto la giurisprudenza, negando che il carattere omosessuale
della coppia possa di per sé determinare alcun pregiudizio alla qualità
delle relazioni instaurate con il minore e, quindi, rappresentare un
elemento ostativo all’applicazione della disciplina generale.
Chi
abbia instaurato con il minore un legame importante, in virtù della
convivenza con l’altro genitore, non può essere considerato, insomma, al
pari di qualunque altro estraneo, solo perché omosessuale. La norma
stralciata del disegno di legge si limitava a rendere diritto positivo
quanto la giurisprudenza prevalente ha già riconosciuto. Espungerla dal
testo ha significato demandare ancora una volta alla mutevolezza degli
orientamenti giurisprudenziali il riconoscimento del diritto del minore a
veder legittimato un rapporto essenziale per la sua crescita,
sottraendolo al limbo giuridico che altrimenti lo caratterizzerebbe.
Si
è trattato, in altre parole, di una scelta conservatrice, che ha
subordinato il superiore interesse del bambino a una presunzione,
indimostrata e discriminatoria, di inidoneità della persona omosessuale a
crescere un figlio. E non è nemmeno ragionevole ipotizzare che, negando
l’adozione coparentale, si ottenga il risultato non voluto di
disincentivare la surrogazione per altri. Anche a non distinguere i
casi, tutti particolari, della surrogazione per mera gestazione (in cui
gli ovuli della madre sono impiantati nell’utero altrui, così da
mantenere il legame genetico) e della surrogazione altruistica (che
esclude ogni possibile sfruttamento della gestante), si può davvero
negare al bimbo già nato da gestazione per altri il diritto al
riconoscimento del rapporto con il genitore “sociale”?
Queste
alcune delle questioni che la normativa approvata ignora o liquida
sbrigativamente e negativamente. Ed è la ragione per la quale che non ho
sostenuto il disegno di legge Cirinnà nella sua nuova versione e non ho
votato la fiducia. Si aggiunga ciò che in apparenza può sembrare un
dettaglio: dal testo, come ho anticipato, è stato espunto il riferimento
all’«obbligo di fedeltà» perché, si è detto, assimilerebbe le unioni
civili all’istituto del matrimonio.
Qui davvero lo spirito
vacilla. È chiaro che emerge un rimosso particolarmente cupo e
ingombrante. Un conto sarebbe stato eliminare l’obbligo di fedeltà per
qualunque vincolo di coppia, un conto ben diverso è cancellarlo per le
sole coppie omosessuali. Comunque la si metta, e qualunque affinità col
matrimonio possa paventarsi, dietro c’è un pregiudizio grande come una
casa: l’omosessuale è considerato, per natura e vocazione, persona
dissoluta («tan’è vero che è omosessuale»), incapace di impegno
reciproco, monogamia e, dunque, fedeltà. Un porcellone, insomma (due o
più porcelloni) cui attribuire alcune garanzie economiche e sociali, ma
non certamente il riconoscimento giuridico-morale di un’unione civile,
dotata di pienezza di diritti e di pari dignità.
Non si avverte, in ciò, l’eco di una irriducibile omofobia?