il manifesto 25.2.16
L’Italia verso un’altra impresa libica
di Giulio Marcon
La
 notizia, è noto, l’ha data il Wall Street Journal: da Sigonella droni 
americani per bombardare la Libia. I parlamentari e l’opinione pubblica 
lo vengono a sapere da un giornale americano e non dal nostro governo, 
la cui opacità –su questa e altre vicende- è nota da tempo. Dicono che è
 un accordo di un mese fa. Chissà. Come fino ad ora è stato omessa la 
notizia, niente di più normale che sia stata omesso o falsificato 
l’inizio di questa operazione congiunta.
E tale è. Non stiamo 
facendo un favore logistico agli americani, ma stiamo partecipando con 
gli americani ad un’azione di guerra. Era già successo nel 2011 sempre 
in Libia (furono allora utilizzate 7 basi), ma soprattutto nel 1999 per 
la guerra in Kosovo: dalle nostre basi partirono i caccia della Nato che
 bombardarono la Serbia e il Kosovo. Con ipocrisia politica il nostro 
governo (dalla Pinotti a Gentiloni) dice che sarà data autorizzazione 
caso per caso (ma è sempre stato così, e normalmente si tratta di una 
semplice notifica, come per i caccia americani che partivano da Aviano 
per bombardare il Kosovo) e che l’azione dei droni avrà carattere 
“difensivo”. E perché no, magari anche “umanitario”.
Siamo al ridicolo. E a ricordarlo non sono solo i pacifisti, ma anche chi di interventi militari e di guerre se ne intende.
Infatti
 l’ex capo di stato maggiore dell’aeronautica Leonardo Tricarico ricorda
 ieri su Il Mattino” che dire che si tratti di missioni difensive è 
scontato, una foglia di fico aggiungiamo noi: “Si tratta di una 
posizione ricorrente nel governo italiano… ci potrebbe essere un 
mascheramento di missioni offensive dietro missioni difensive”, afferma 
l’ex capo di stato maggiore. E sempre Tricarico dice che le affermazioni
 della Pinotti e di Gentiloni sul fatto che non siamo in guerra 
potrebbero essere “una semplice rassicurazione generica”. E scontata. In
 guerra ci stiamo entrando. E come ricorda ieri Antonio Mazzeo su Il 
manifesto, poiché gli americani fanno decollare da Sigonella “i 
famigerati MQ-1 Predator e MQ-9 Reaper, armi letali da first strike” è 
abbastanza inverosimile che si tratti di azioni “difensive”.
Il 
tutto in un contesto in cui la diplomazia internazionale in Libia 
brancola nel buio: non riesce a far accettare dai leader e capetti 
locali un accordo per la ricomposizione dell’esecutivo libico e proprio 
ieri il governo di Tobruk ha rinviato di una settimana il voto sul 
governo di unità nazionale. Gli appelli dell’Onu sono caduti nel vuoto e
 l’accordo è diventato una farsa. La vicenda della Libia dimostra tutta 
l’improntitudine dei governi italiani e della comunità internazionale 
che –con le loro folli iniziative- hanno alimentato la disgregazione del
 paese, la diffusione delle bande terroristiche, i disperati flussi 
migratori e una grave tensione nel mediterraneo, che sembra 
assolutamente ingovernabile.
E come succede di solito, quando la 
politica arranca (e quando interessi geopolitici ed economici 
–americani, francesi, italiani, ecc.- prendono il sopravvento) arriva la
 guerra. Che diventa — per parafrasare un vecchio adagio — la 
continuazione del fallimento della politica con altri mezzi. Un 
fallimento che però maschera interessi nazionali e strategici e che 
porterà nuove distruzioni, altre vittime innocenti, un più vasto 
sconquasso geopolitico e maggiore instabilità nel Mediterraneo.
Ora,
 si parla addirittura di una tripartizione della Libia, sotto il 
controllo italiano, inglese e francese. Siamo al colonialismo di un 
secolo fa. Il dilettantismo ed il colonialismo di ritorno del nostro 
governo (e la complicità con un vacuo e sanguinoso interventismo 
militare, che magari serve a giustificare qualche F35 in più) ci sta 
portando verso questo triste epilogo. Invece di fare interviste e 
dichiarazioni alle agenzie, Pinotti e Gentiloni vengano a riferire in 
Parlamento.