il manifesto 10.12.16
Etica e desiderio, un conflitto simulato
Il diritto di tutti ad avere diritti. Le unioni civili, una grande questione di uguaglianza e di pari dignità
di Luigi Manconi
La
discussione pubblica e il dibattito parlamentare sulle unioni civili
sono sovrastati e deformati da quello che chiamerei un Conflitto
Simulato che opporrebbe due schieramenti totalmente fittizi.
L’uno
è quello di coloro che si propongono come titolari esclusivi di valori
forti, di una robusta concezione morale e di principi non rinunciabili e
non negoziabili; l’altro è lo schieramento di quanti, al più,
tutelerebbero interessi circoscritti e parziali, propri di una
minoranza, o, comunque, di una sommatoria di minoranze.
In altri
termini, una controversia tra una concezione ad alta intensità valoriale
e una tutta concentrata sull’acquisizione di diritti. Da una parte, di
conseguenza, l’etica, dall’altra il desiderio. Per un verso, una lettura
ispirata da considerazioni morali e, per altro verso, una dettata da
una visione edonistica, consumistica e, alla resa dei conti, egoistica.
In
questo schema, naturale e morale sono categorie che si alimenterebbero a
vicenda, indifferenti alle enormi trasformazioni che hanno conosciuto
le società umane e, al loro interno, le forme di vita e le concezioni
dei rapporti tra i sessi, tra le generazioni e tra genitori e figli. Il
che spiega anche il reiterato ricorso al concetto di «antropologia».
Quando una personalità autorevole come il presidente della Cei,
cardinale Angelo Bagnasco, afferma che «la famiglia è un fatto
antropologico, non ideologico», si avverte la sensazione che si tratti
in realtà di una semplice interpretazione culturale, motivata da
preoccupazioni di ordine generale, che esulano dal tema trattato. E che
ha come esito la trasformazione della stessa categoria di antropologia e
del suo paradigma scientifico, in una sorta di sistema chiuso,
connotato da rigidità e incapace di registrare le trasformazioni
avvenute e quelle in atto, e destinato, a sua volta, a farsi dispositivo
ideologico.
D’altra parte, il risultato di quel Conflitto
Simulato può essere rovinoso. Intanto perché toglie alla mobilitazione
per l’affermazione dei diritti la sua ispirazione più profonda e la sua
base più solida, quella che si affida in ogni caso a principi morali e a
valori condivisi: ancorché differenti da quelli, di origine religiosa,
nei quali si riconosceva, fino a qualche decennio fa, la maggioranza
della società nazionale. E, infatti, come non vedere che, a ispirare la
richiesta di riconoscimento dell’unione civile è – può essere –
un’istanza morale? Cos’altro è, se non questo, quella ricerca di
reciprocità, mutualità, affidamento, vicendevole supporto, stabilità,
continuità nel tempo e, ancora, coniugalità e genitorialità? Non
costituisce, tutto ciò, il fondamento morale di una relazione e un
fattore capace di contribuire al rafforzamento della coesione sociale?
Se così non intendessimo, finiremmo col ridurre la morale a una sorta di
lettura rinsecchita e rattrappita della precettistica autoritaria più
convenzionale.
Quanto detto finora subisce, proprio in queste ore,
una offensiva assai insidiosa, che si traduce nell’ipotesi di amputare
il disegno di legge Cirinnà di una sua parte significativa, stralciando
il capitolo sulle adozioni. Dietro una simile ipotesi si può scorgere un
approccio che definirei economicistico. Una sorta di neutralizzazione
del contenuto morale del rapporto di coppia omosessuale e una sua
riduzione a mero contratto privato. Un’impostazione che prevede
esclusivamente la concessione – il termine è appropriato – delle
garanzie materiali e sociali. Ovvero quelle previdenziali, patrimoniali,
ereditarie, assicurative e fiscali: diritti primari legittimi,
addirittura sacrosanti, che vanno tutelati, ma che non esauriscono certo
l’intera e complessa dimensione della soggettività. E che, soprattutto,
tradiscono un’idea gravemente riduttiva della identità
dell’omosessuale. Egli non viene visto, in quella concezione
economicistica, come un cittadino intero e come una persona intera,
titolare di una dignità piena, senza deroghe e senza eccezioni. Al
contrario, viene considerato come una persona parziale e dimidiata. In
altre parole, è come se a quel quasi-cittadino si proponesse uno
scambio: diritti materiali e garanzie sociali in cambio della rinuncia
al pieno riconoscimento giuridico-morale: e a quei requisiti che
costituiscono il tratto saliente della irripetibile personalità umana e
della sua unicità. Ovvero il diritto al sentimento e all’affettività,
alla pienezza emotiva e alla sessualità, alla condizione di coniuge e di
genitore: e all’aspirazione a quel pezzo di felicità condivisa, per
quanto precaria e gracile, che ci è consentita in questo nostro mondo.
Da
tutto ciò discende che, quello delle unioni civili, è certamente un
tema di notevole e delicata rilevanza, che richiama dilemmi etici e
visioni del mondo: ma è, in primo luogo, una grande questione di
uguaglianza e di pari dignità. E quella che può apparire come una
problematica di pochi – decisamente minoritaria sotto il profilo
statistico – si rivela, infine, come un’importante questione di libertà
di tutti. Siamo in presenza, cioè, di una classica controversia sul
diritto ad avere diritti. Ovvero sul fondamento stesso dell’idea di
democrazia.