«È la prima volta in 106 anni di storia della Confindustria che le imprese sono ricevute insieme in udienza da un pontefice»
La Stampa 28.2.16
Il
Papa sferza gli industriali: “Troppi i giovani precari, rifiutate le
raccomandazioni e la disonestà, voi avete una nobile vocazione orientata
a produrre ricchezza, migliorate il mondo , siete chiamati a essere
costruttori del bene comune e artefici di un nuovo “umanesimo del
lavoro”
Squinzi: «Fede e impresa centrali in una società incerta»
Marcegaglia:
«La febbrica è il luogo dove si crea valore economico, ma dove si
mantengono vivi e si fanno crescere i valori del lavoro, dell’integrità e
del rispetto verso tutte le persone»
«Considerare l’impresa come una famiglia allargata»
Bertinotti: la fede è l’ultimo luogo dell’autonomia
“Sindacati e politici senza voce. A parlare di questi temi è rimasto soltanto Francesco”
intervista di Francesco Bei
Ex
segretario di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti, da tempo
osserva affascinato il nuovo corso bergogliano della Chiesa. Non è
rimasto dunque stupito dall’affondo portato ieri dal pontefice contro la
«precarietà» di fronte a migliaia di imprenditori.
Al di là delle semplificazioni sul Papa “di sinistra”, chi è rimasto oggi a parlare così?
«Nessuno.
La politica è afona, la rappresentanza sindacale pure. Nell’eclissi
della democrazia che stiamo vivendo in Europa, sembra che la fede
risulti l’ultimo luogo dell’autonomia».
Autonomia da cosa?
«Autonomia
di un pensiero non omologato. Al tempo del Concilio Vaticano II c’era
Giovanni XXIII, ma dall’altra parte c’erano giganti, c’era Kruscev,
Kennedy. Oggi l’attuale Pontefice parla in un deserto politico, anche
per questo la sua voce risuona così forte. La sua è una profezia, ma
opera anche come supplenza nei confronti di una politica che non esiste
più».
Perché Bergoglio appare così antagonista rispetto al pensiero «mainstream»?
«Una
volta si diceva che la verità la possono dire solo i pazzi. Ora la può
dire solo un uomo di fede. Fede nell’uomo intendo, non parlo
necessariamente di una fede trascendente».
Questo spiega il successo popolare del Papa?
«Certo,
perché attinge ai fondamentali, si pone in rapporto critico con lo
sviluppo. Penso all’enciclica “Laudato sii”, centrata sulla giustizia
sociale e sull’ecologia».
Persino il sindacato sembra un passo indietro rispetto al Papa. Perché?
«Perché
anche la rappresentanza, con le dovute eccezioni, ormai è omologata.
Negli anni Settanta il sindacato aveva ancora criteri di valutazione del
lavoro e del mercato autonomi. La fine del movimento operaio come lo
abbiamo conosciuto nel ’900 - crisi determinata dal fallimento dell’Urss
all’Est e dalla sconfitta politica all’Ovest - ha portato a un
rovesciamento totale della prospettiva. Come aveva capito Luciano
Gallino, ormai è la struttura di potere che agisce il conflitto contro i
lavoratori. Il frutto ultimo di tutto ciò è la progressiva scomparsa in
Europa del contratto nazionale unico».
L’oggetto degli strali del Papa è il lavoro precario. È questa la nuova frontiera del conflitto?
«Non
c’è dubbio. Il precario oggi ha preso il posto dell’operaio di serie,
dell’uomo Cipputi. In questa fase di lavoro frantumato, di
parcellizzazione del lavoro, la precarietà è la nuova cifra della
condizione lavorativa. E il Papa - non i sindacati e nemmeno i politici -
è l’unico ad avvertire il carattere distruttivo di tutto questo, non
solo dal punto di vista socio-economico ma anche umano. Semplicemente
umano. È la nuova forma dell’alienazione».
Perché ci arriva il Papa e non i sindacati?
«Perché
la rappresentanza istituzionale non ha più gli occhiali giusti per
vedere certe cose. Si accontenta della descrizione dei fenomeni, non va
oltre quella, e rinuncia all’interpretazione. I sindacati (con poche
eccezioni) pensano che la precarietà sia naturaliter determinata dallo
sviluppo delle forze produttive. Come una volta si accettava il
Taylorismo nelle fabbriche. Poi venne il ’68 e spazzò via tutto».
Un Papa sessantottino?
«Un Papa che ha il coraggio di andare, come diceva Camus, contro l’aria del tempo».