Corriere La Lettura 28.2.16
Stupirsi per una torta. Come la religione arricchisce il sapere
Chimico e teologo, Alister McGrath contesta l’ateismo di Dawkins e Dennett. Nel nome di Isaac Newton
di Marco Ventura
«Se
vuoi creare una torta di mele dal nulla, prima devi inventare
l’universo». L’astronomo Carl Sagan riassumeva così la verità ultima cui
lo aveva portato una vita passata a collegare fatti ed elaborare
teorie. Era necessaria una condizione fondamentale perché le cose
quotidiane potessero essere come le conosciamo. Andava inventato
l’universo perché la nostra vita fosse possibile; non un universo
qualsiasi, ma questo, esattamente questo, con le sue costanti di base,
con carbonio, ossigeno e azoto. Senza l’universo, senza questo universo,
non ci sarebbero gli esseri umani. E le mele. Per Sagan, la scienza è
modo di pensare, esercizio continuo di equilibrio tra fatti e ipotesi:
«La scienza ci esorta ad accogliere i fatti», scriveva ancora lo
scienziato americano, «anche quando essi non si conciliano con i nostri
preconcetti; ci consiglia di lasciare spazio nella nostra testa per
ipotesi alternative e di vedere quali sono quelle che con i fatti hanno
una migliore corrispondenza». Quando nel 1990, dopo dieci anni di
navigazione, la sonda Voyager raggiunse Saturno e cominciò a trasmettere
foto del pianeta, Sagan propose che si ruotasse la fotocamera e che si
fotografasse la Terra da una distanza di circa sei miliardi di
chilometri. Ci furono resistenze, ma la Nasa accolse la proposta. La
foto del puntino azzurro avvolto nel grande buio cosmico commosse
l’umanità. Quella «lontana immagine del nostro minuscolo mondo», come la
definì Sagan, mise la Terra in prospettiva.
La torta di mele e il
«minuscolo mondo» di Sagan sono un inno alla scienza e alla capacità
dello scienziato di scoprire, di ragionare e di spiegare. Per tanti, la
scienza è così efficace da apparire come l’unica risposta alle domande
profonde dell’uomo; di certo, credono molti, la scienza è la migliore
alternativa a una religione in nome della quale gli uomini si stanno
massacrando. Per un professore di Oxford, Alister McGrath, non è affatto
così. Per McGrath la torta di mele e il «minuscolo mondo» di Sagan sono
un invito ad amare la scienza, ma anche ad andare oltre di essa, a
rifiutare la contrapposizione tra scienza e fede. Alla meraviglia per
l’universo e per la Terra, suscitata dal pensiero sulla torta di mele e
dall’immagine del puntino azzurro, McGrath reagisce prendendo in mano la
Bibbia. Recita il Salmo: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue
dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo
perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?».
McGrath
è scienziato e teologo. Ha una laurea in Chimica, una in Teologia e un
dottorato in Biofisica molecolare a Oxford. Nel libro La grande domanda
(Bollati Boringhieri) il professore di Scienza e religione invita a non
rassegnarsi alla narrazione dominante, in cui scienza e fede si
combattono, e a scoprire invece quanto le due dimensioni possano essere
complementari. Il viaggio dell’autore è anzitutto autobiografico. A più
riprese McGrath ricorda il proprio ateismo giovanile e la convinzione
con cui si dedicò alla scienza quale unico modo plausibile di conoscere
la realtà. La conversione al cristianesimo, ricorda l’autore, rispose al
bisogno di «una narrazione più ricca, più profonda rispetto a quella
offerta dalla scienza».
McGrath racconta di essersi convertito con
lo stesso spirito con cui confessò la propria fede C.S. Lewis: «Io
credo nel cristianesimo allo stesso modo in cui credo che il sole sia
sorto: non solo perché io lo vedo, ma perché attraverso di esso io posso
vedere tutte le altre cose». Dopodiché, lo scienziato divenne teologo,
fu ordinato sacerdote nella Chiesa d’Inghilterra ed è oggi un
appassionato alfiere dell’alleanza tra scienza e religione. Molte pagine
del volume sono dedicate a confutare l’imperialismo scientifico del
neo-ateismo incarnato da autori anglosassoni come Dawkins, Dennett,
Harris e Hitchens. Al contrario di costoro, che ritengono l’esperienza
religiosa un pericoloso autoinganno, McGrath crede che l’idea di Dio e
addirittura il bisogno di Dio «siano in un certo senso cablati
all’interno della nostra architettura mentale». Sulla scorta della
scienza cognitiva della religione, l’autore afferma che la fede in Dio, e
il fenomeno stesso della religione, siano naturali. Lo stesso vale per
la nostra propensione alla scienza. Ci viene naturale. Per questo, come
recita il sottotitolo, «non possiamo fare a meno di parlare di scienza,
di fede e di Dio». Siamo destinati a questo «così come siamo destinati a
mangiare e bere per sopravvivere».
Va superato dunque il
paradigma del conflitto tra scienza e religione, in favore di un
dialogo. Entrambe, scienza e religione, possono commettere errori,
entrambe possono degenerare in fondamentalismi. Di entrambe vanno
compresi i limiti e vanno evitati gli sconfinamenti. McGrath propone una
«narrazione di arricchimento» per la quale la distinzione tra le due
dimensioni conduce a capirne e a praticarne la compatibilità. Piace
all’autore l’umiltà di Isaac Newton, il modello dello scienziato
consapevole di doversi arrestare sulla riva di una verità più grande:
«Mi sembra di essere stato solo un ragazzo che gioca sulla spiaggia»,
scrisse Newton, «e trova qua e là una pietra più liscia o una conchiglia
più bella del solito, mentre il grande oceano della verità giace
sconosciuto davanti a me». Se la scienza arricchisce la religione,
fornendo scoperte che invitano alla meraviglia verso la creazione e alla
fede nel creatore, in tre modi, secondo McGrath, la religione può
arricchire la scienza: rassicurando l’uomo che «la realtà è un tutto
coerente», rispondendo a «ciò che sul piano scientifico non può trovare
risposta» ed evitando uno sguardo «eccessivamente intellettuale e
razionalizzante sulla natura».
Vari punti del libro lasciano
perplessi. I termini religione e cristianesimo sono spesso usati come
sinonimi. Nella contrapposizione tra ateismo e teismo, s’ignorano le
tante facce ibride della spiritualità contemporanea. Si critica
l’ambizione della scienza di farsi religione, ma, creazionismo a parte,
non si critica la religione che si fa scienza, come in Scientology. La
proposta centrale del libro, tuttavia, coglie nel segno. L’opposizione
tra scienza e religione appartiene al passato. Il dialogo tra le due è
il futuro. Il punto di partenza, hanno ragione Sagan che coniò
l’immagine e McGrath che la cita, è la torta di mele. «L’esistenza
apparentemente scontata di mele e umani è in realtà un fatto
strabiliante», scrive McGrath. Prima di tutto «devi inventare
l’universo». È questo il titolo originale del libro, purtroppo
sacrificato dall’editore italiano, Inventing the Universe . Ricominciano
a dialogare da qui scienza e religione. Perché potessimo preparare la
nostra torta di mele, l’universo andava inventato. O creato?