Corriere 5.2.16
Se la lotta di classe spunta negli Stati Uniti
di Massimo Gaggi
Possibile
che la lotta di classe, espressione sparita dal lessico politico
italiano, rispunti negli Stati Uniti, da sempre allergici a categorie
politiche legate alla cultura marxista? A seguire i dibattiti elettorali
che si moltiplicano sulle reti tv si ha la sensazione che l’incredibile
stia avvenendo: tra i democratici Hillary Clinton è il peso massimo, ma
i temi li impone Bernie Sanders. Il senatore socialdemocratico
costringe gli americani a riflettere sugli enormi squilibri del
capitalismo Usa, evidenti agli occhi di un europeo, ma che i cittadini
degli States non erano abituati a veder sezionati con tanta precisione e
insistenza: non solo le disparità estreme nella distribuzione del
reddito, ma anche i costi folli dell’istruzione universitaria, l’assenza
di tutele assistenziali per l’infanzia, la sanità costosissima e
lacunosa che lascia 29 milioni di americani senza copertura.
La
Clinton, anch’essa impegnata sulla sperequazione dei redditi, attacca
Sanders sostenendo che il suo è il programma di un sognatore. Ma è
costretta a stare sullo stesso terreno, magari fissando obiettivi meno
ambiziosi ma più realistici di quelli di Sanders. Che, comunque, mostra
di avere un seguito vasto non solo tra i giovani, ma pure tra il ceto
medio impoverito dalla globalizzazione, dalla rivoluzione tecnologica,
dalla finanziarizzazione dell’economia: che ha pagato il prezzo più alto
per il «meltdown» di Wall Street e la Grande Recessione del 2008-2009.
La cosa curiosa è che qualcosa di simile sta accadendo anche a destra
dove Donald Trump raccoglie soprattutto il consenso dei «colletti blu»,
dei conservatori bianchi meno scolarizzati che hanno perso potere
d’acquisto e accumulato un rancore crescente nei confronti degli altri
gruppi sociali. I grandi ricchi della finanza, certo, ma anche comunità
che un tempo guardavano dall’alto in basso mentre ora sentono il loro
fiato sul collo: le minoranze etniche come i neri e la nuova
immigrazione ispanica. Trump per loro non è il miliardario che vive
nell’oro ma il populista che promette, a modo suo, un allontanamento
dall’ortodossia mercatista, dal liberismo del partito repubblicano: stop
alla globalizzazione e all’immigrazione come protezione della
forza-lavoro Usa.
Sanders e Trump forse non arriveranno alla
«nomination» ma quello che hanno seminato i questi mesi, a cavallo tra
giustizia sociale e populismo, potrebbe avere conseguenze ben più
durature di Occupy Wall Street, l’onda sociale di quattro anni fa che si
trasformò ben presto in risacca.