giovedì 4 febbraio 2016

Corriere 4.2.16
Unioni civili
Il gioco degli equilibri tra franchi tiratori

ROMA Nel quartier generale del Partito democratico, a Palazzo Madama, la tensione dei giorni scorsi si va stemperando e l’umore che a sera prevale sulle unioni civili è un cauto ottimismo, condiviso anche dalla minoranza. «Ma quale affido preadottivo — spiegano i dirigenti dem fuori taccuino —. La legge Cirinnà la portiamo a casa così com’è scritta, stepchild adoption compresa». I tentativi di mediazione di cui tanto si parla servono dunque ad allentare la tensione, perché in realtà tra Palazzo Chigi e il Nazareno la linea non cambia. Avanti dunque sul testo Cirinnà, perché è l’unico che consente di «allargare la coperta». L’unico su cui esiste (almeno sulla carta) una maggioranza trasversale determinata a legittimare le unioni gay, consentendo al nostro Paese di mettersi in linea con l’Europa sul piano dei diritti. Ma perché l’Italia possa voltare pagina occorre che i senatori cinquestelle mantengano l’impegno a votare la legge e che le inevitabili defezioni di coscienza di qualche cattodem siano compensate da una dozzina almeno di volenterosi senatori ncd, disposti a fare i franchi tiratori al contrario. Come? Turandosi il naso e votando la legge messa all’indice dal popolo del Family day. E forse toccherà anche, ragionano al Pd, sgombrare il tavolo da qualsivoglia riformulazione dell’articolo 5 — sull’adozione del figlio del partner omosessuale — così da non offrire al M5S alcun pretesto per tirarsi indietro. Ma adesso, scongiurato il pericolo che l’accordo tra Pd e Lega salti per mancanza di fiducia reciproca, la strada verso l’approvazione è meno accidentata. La svolta l’ha impressa Luigi Zanda, convocando una sorta di capigruppo autogestita
e strappando alle opposizioni l’impegno a limitare il più possibile i voti segreti. L’ex cinquestelle Campanella ironizza su Zanda «quarta carica dello Stato», ma forse non sa che il capogruppo del Pd aveva preventivamente informato la seconda carica dello Stato. Pietro Grasso è stato ben lieto di dare la sua benedizione a una capigruppo informale che gli ha tolto un po’ di peso dalle spalle: è infatti il presidente a dover decidere, se richiesto
da 21 senatori, su quali emendamenti si può votare in segreto. «L’arbitro è sempre contento quando in campo c’è fair play...», ha commentato il portavoce del presidente.