Corriere 3.2.16
Giuseppe Vacca, 77 anni, è presidente della
Fondazione Istituto Gramsci, è stato parlamentare e membro del comitato
centrale del Pci
Vacca: Family Day non reazionario, la sinistra rischia la deriva nichilista
Quella folla esprime un modo di vedere la famiglia che è di una vasta parte della società
In piazza si è visto un denominatore comune, la nostra civiltà cristiana. È una grande eredità
intervista di Massimo Rebotti
Milano
Giuseppe Vacca è un filosofo marxista, una vita nel Pci e nelle sue
successive declinazioni, fino al Pd di cui è uno degli intellettuali più
autorevoli. Nel 2012, insieme ad altre figure di riferimento della
sinistra, come Mario Tronti e Pietro Barcellona, firma un documento
sull’«emergenza antropologica»: si sostiene che esistono «valori non
negoziabili» e si apprezza l’impegno della Chiesa, allora di Benedetto
XVI, per difenderli . Ai firmatari viene affibbiata l’etichetta di
«marxisti ratzingeriani».
Qualche anno dopo quei temi sono al
centro del dibattito sulle unioni civili; il professor Vacca ha seguito
con attenzione sia il Family Day che le iniziative a favore del ddl
Cirinnà.
Cosa pensa di chi dice che le piazze contro le unioni civili sono reazionarie ?
«Definire
il Family Day reazionario è assolutamente improprio. Su come regolare
le questioni della vita non si può applicare la coppia
progresso-reazione. Quella folla esprime un modo di vedere la famiglia
che appartiene a una vasta parte della società italiana».
Si sente equidistante?
«No.
Io penso che sia un bene che la legge sulle unioni civili passi. Ma si
deve risolvere il nodo della stepchild adoption: trovo fondate le
osservazioni di chi dice che può essere un modo surrettizio per
introdurre la maternità surrogata, l’utero in affitto».
Hanno quindi ragione i manifestanti del Family Day?
«Sul
punto sì, il problema c’è. Così come penso che non sia necessario
declinare al plurale la famiglia, che è una. Detto questo, è necessario
riconoscere le unioni civili».
C’è un clima da fronti contrapposti?
«Direi
di no. Al netto delle sigle politiche che si sono aggiunte, penso che
entrambe le piazze fossero dialoganti. Chiunque giochi alla
contrapposizione, sbaglia».
Un passo avanti rispetto ad altri «scontri» tra laici e cattolici?
«Sì,
il confronto è più maturo rispetto ai tempi dell’aborto o del divorzio.
Basta guardare l’intervista, molto bella, che il cardinale Ruini ha
rilasciato al Corriere quando ha detto che non c’è una sola modernità».
A proposito di modernità: lei ha parlato di un’«emergenza antropologica».
«È
un’epoca in cui ci sentiamo sottoposti a varie minacce, il discrimine
tra il naturale e l’artificiale si mescola, non ci sono solo “magnifiche
sorti e progressive”. È una deriva per cui, come diceva la signora
Thatcher, la società non esiste ma esistono solo gli individui».
C’entra con le unioni civili?
«Come
si fa a dire, per esempio, che avere un figlio è un diritto? Come si
può pensare di declinare tutto nella chiave della libertà individuale,
come se ciò che accade prescindesse dal modo in cui si compongono le
volontà e le coscienze dei gruppi umani?».
Sbaglia la sinistra a fare dei diritti individuali il fulcro della sua azione politica?
«Assolutamente sì. La sinistra subisce una deriva nichilista, in termini marxisti la definiremmo spontaneista».
Cioè?
«Non
è più capace di grandi visioni sul mondo, dalle guerre ai conflitti
economici. Assolve mediamente i suoi compiti nazionali, ma sui grandi
scenari mostra un impoverimento culturale che genera analisi povere.
Negli anni 70 laici e cattolici hanno fatto la più bella riforma del
diritto di famiglia. E dopo? Di fronte a quello che cambia su questi
temi, la sinistra non ha più niente da dire? Penso al referendum sulla
fecondazione assistita quando tutto è stato ridotto a uno scontro tra
fede e scienza. Insomma, il professor Veronesi è un grande medico, ma
non è uno statista...».
La piazza cattolica le è sembrata più consapevole dei «grandi scenari»?
«Lì si è manifestato un denominatore comune, la nostra civiltà cristiana. È una grande eredità».