mercoledì 24 febbraio 2016

Corriere 24.2.16
«L’Italia responsabile delle torture subite da Abu Omar»
La Corte di Strasburgo condanna Roma perché, con il segreto di Stato, non ha reso giustizia all’imam rapito
di Luigi Ferrarella


Che paradosso: l’Italia, grazie all’autonomia e indipendenza dall’esecutivo garantita alla magistratura dagli assetti costituzionali, è stata l’unico Paese al mondo a «processare» un caso di extraordinary rendition , antiterrorismo praticato dagli Stati Uniti, ma ora, a causa del segreto di Stato calato da quattro governi italiani sul rapimento di Abu Omar nel 2003, è il secondo Paese del Consiglio d’Europa (dopo la Macedonia) a essere condannato dalla «Corte europea dei diritti dell’uomo» (Cedu).
Strasburgo, infatti, ieri ha condannato l’Italia per aver violato i principi della Convenzione quando — con l’apposizione del segreto di Stato da parte dei premier Prodi (2006), Berlusconi, Monti e Letta (2013), e con la non richiesta di estradizione dei condannati e latitanti agenti Cia da parte di 6 ministri della Giustizia (Castelli, Mastella, Scotti, Alfano, Palma e Severino) — non ha reso effettiva giustizia all’egiziano Nasr Osama Mostafa Hassan, detto Abu Omar: l’estremista imam torturato in Egitto dopo essere stato rapito da agenti della Cia il 17 febbraio 2003 a Milano, dove era indagato per associazione con finalità di terrorismo (6 anni di pena nel 2013).
All’esito della condanna definitiva di 26 latitanti agenti Cia, di cui però l’Italia non ha mai chiesto agli Usa l’estradizione (compreso l’allora capo della Cia in Italia, Jeff Castelli), e soprattutto del proscioglimento definitivo (dopo condanne in appello a 10 e 9 anni) degli ex vertici del Sismi Niccolò Pollari e Marco Mancini a motivo del segreto di Stato posto dai vari premier e sdoganato nella sua accezione più larga dalla Consulta nel 2014, Strasburgo considera l’Italia «direttamente responsabile» delle torture subìte da Abu Omar in Egitto dopo il rapimento a opera della Cia. I 70.000 euro di danni morali a Abu Omar e i 15.000 a sua moglie Ghali Nabila sono nulla rispetto al valore di principio della sentenza Cedu, in accoglimento del ricorso che taluni bollavano avventato quando a presentarlo coraggiosamente era stato nel 2009, a processi ancora in corso, l’avvocato Luca Bauccio. La Corte, infatti, rimarca che, «malgrado il lavoro degli investigatori» della Digos «e dei magistrati italiani» Spataro-Pomarici-Piacente, il processo «non ha portato alla punizione dei responsabili, a cui in ultima analisi è stata garantita l’impunità» visto che «il principio legittimo del segreto di Stato è stato chiaramente applicato dall’esecutivo italiano per assicurare che i responsabili non dovessero rispondere delle loro azioni».
La Cedu inserisce poi, tra le ragioni della condanna dell’Italia, anche la grazia a tre condannati latitanti agenti Cia concessa una dall’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano e due dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Nei casi di tortura e maltrattamenti inflitti da agenti dello Stato — addita Strasburgo —, l’azione penale non può esaurirsi per effetto della prescrizione, e l’amnistia e la grazia non devono essere tollerati».