Corriere 18.2.16
Israele e gli ayatollah. Nemici, ma pragmatici
risponde Sergio Romano
In
un articolo un analista valuta che una collaborazione tra Iran e
Israele potrebbe essere più prossima di quel che si pensi in quanto le
due società, l’iraniana e l’israeliana, sono caratterizzate da fattori
comuni quali classi dirigenti molto evolute e cosmopolite, tecnologie
avanzate, identità religiose
sempre meno interferenti con quelle politiche.
Inoltre,
sempre a parere dello studioso, strategicamente è già operante un
triangolo imperfetto in quanto la Russia è alleata dell’Iran e Israele
collabora con la Russia. Approfondendo ho constatato che la minoranza
ebraica a Teheran è molto tutelata, fruisce liberamente di sinagoghe e
dispone di proprie biblioteche, scuole e giornali
nonché di un ospedale
sovvenzionato dal governo. Il tenore delle dichiarazioni che
periodicamente i governi dei rispettivi Paesi si scambiano non fa però
ben preconizzare un avvicinamento. Che ne pensa?
Ferdinando Fedi
Caro Fedi,
Il quadro sembra troppo ottimistico. È vero che la
comunità ebraica in Iran (circa 22.ooo persone) ha un rappresentante in
Parlamento ed è libera di coltivare le proprie tradizioni, ma Israele è
ancora uno dei bersagli favoriti della propaganda di Teheran, mentre il
premier israeliano, dal canto suo, non smette di sostenere che l’accordo
sul nucleare iraniano è stato un tragico errore della diplomazia
americana. Vi sono stati anni, tuttavia, prima della rivoluzione
iraniana del 1979, in cui le relazioni fra i due Paesi erano eccellenti
(tra l’altro costruirono insieme un oleodotto fra il mar Rosso e il
Mediterraneo).
Dopo l’arrivo degli ayatollah al potere, le cose
cambiarono, ma non sino al punto di impedire che i due Stati, in
parecchie circostanze, dessero prova di un ragionevole pragmatismo.
L’episodio più sorprendente è quello che è passato alla storia sotto il
nome di Iran-contras. Accadde quando alcuni ingegnosi consiglieri del
presidente Reagan, verso la metà degli anni Ottanta, credettero di avere
trovato l’«inghippo» per risolvere contemporaneamente due problemi che
assillavano in quel momento la Casa Bianca: come liberare sette
cittadini americani in Libano, caduti nelle mani di un gruppo legato
all’Iran, e come finanziare segretamente i ribelli «contras» che si
battevano contro le forze sandiniste e comuniste del Nicaragua.
Per
liberare gli ostaggi americani fu deciso di chiedere segretamente
l’aiuto dell’Iran, protettore degli Hezbollah libanesi, e di pagare il
riscatto con una fornitura d’armi per le forze armate iraniane. Il
ricavo della vendita sarebbe stato usato per finanziare i contras, una
politica allora proibita dal Congresso degli Stati Uniti. Occorreva un
Paese che si prestasse a fare da tramite per la consegna delle armi e
questo compito spettò agli israeliani. Quando le armi giunsero in Iran,
fu necessario interpellare il Grande Ayatollah Khomeini e ottenere la
sua autorizzazione. Era lecito accettare armi provenienti dallo Stato
ebraico? Sembra che Khomeini abbia chiesto: «È necessario divulgare la
fonte dell’acquisto?». E quando gli fu detto che non era necessario,
Khomeini avrebbe detto: «Allora non ce ne importa niente».