Corriere 11.2.16
Musei , culla dell’identità nazionale L’intuizione di Sisto IV (545 anni fa)
La
tutela del patrimonio fa parte dei principi fondamentali del nostro
Stato Un’eredità che arriva dal 1471, con la nascita della prima
collezione aperta a tutti
di Paolo Conti
L’articolo
9 della nostra Costituzione è trasparente come un cristallo, nella sua
semplicissima esposizione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della
cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il
patrimonio storico e artistico della Nazione». Custodire i nostri beni
culturali, trasmetterli alle future generazioni, valorizzarli in uno
spirito non mercantilistico ma divulgativo, è un obbligo costituzionale
che vincola l’intera Repubblica in tutte le sue articolazioni: lo Stato
centralizzato, le Regioni, i Comuni grandi e piccoli. Quelle poche righe
sono il frutto di un grande e fecondo dibattito che si svolse tra i
Padri costituenti al momento di stendere la carta. I due principali
protagonisti furono il comunista Concetto Marchesi e il democristiano
Aldo Moro. E fu così, in uno spirito da compromesso storico ante
litteram, che la tutela del Patrimonio fa parte dei principi
fondamentali della Repubblica, inserito tra i primi dodici articoli.
Di
questo solidissimo impianto l’offerta museale pubblica rappresenta
l’architrave portante. Lo capì molto bene papa Sisto IV quando, nel
1471, donò alla città di Roma una collezione di importanti bronzi
provenienti dal Laterano (tra questi la Lupa capitolina, celeberrimo
simbolo dell’Urbe noto in tutto il mondo), che destinò al cortile del
Palazzo dei Conservatori e alla piazza del Campidoglio. Pezzi visibili
tuttora: la testa, la mano e il globo del colosso marmoreo di
Costantino. Quella scelta di 545 anni fa è considerata la nascita del
museo aperto al pubblico perché Sisto IV, Francesco della Rovere,
umanista di formazione filosofica e grande appassionato d’arte,
considerava i romani del suo tempo gli eredi del retaggio classico e di
ciò che ne restava. Quindi un’eredità diffusa che anticipa, di due
secoli e mezzo e più, la straordinaria donazione alla città di Firenze
di tutti i beni artistici raccolti dalla dinastia Medici da parte
dell’ultima esponente della famiglia, l’Elettrice Palatina Anna Maria
Luisa, figlia di Cosimo III. Nel 1737, cedendo i beni del Granducato
agli eredi Lorena, affidò «Gallerie, Quadri, Statue, Biblioteche, Gioie
ed altre cose preziose, siccome le sante reliquie, a condizione espressa
che di quello che è per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico
e per attirare la curiosità dei Forestieri, non ne sarà nulla
trasportato e levato fuori dalla Capitale e dello Stato del Granducato».
È
un’idea modernissima, anzi contemporanea, di bene pubblico, di turismo
culturale, di vincolo. Senza questa colta e raffinata principessa
Medici, gli Uffizi semplicemente non esisterebbero e chissà come e dove
sarebbe sparsa, per l’Europa, la grandiosa collezione.
Un museo è
dunque un bene che appartiene a tutti perché tutti sono chiamati a
tutelarlo, ammirarlo, valorizzarlo, condividerlo con chi viene da altre
parti del mondo. Un museo non è un luogo polveroso ma è, anzi, la radice
identitaria di una collettività nazionale.
«Il museo è uno dei
luoghi che danno l’idea più elevata dell’uomo», scriveva André Malraux
nel 1957. Due anni dopo sarebbe diventato ministro della Cultura
francese fino al 1969, con un dicastero appositamente creato per lui. E,
da grande scrittore e straordinario intellettuale, fece proprio leva
sulla struttura dei grandi musei francesi, a partire dal Louvre, museo
pubblico dal 1793 negli stessi spazi usati da generazioni di Re di
Francia. Dalla politica di Malraux nacque il concetto di «grandeur»
anche culturale della Francia, la rivendicazione di una straordinaria
identità capace di parlare al proprio tempo e di tradursi quindi in
materia viva. Non per niente il Louvre, dai tempi di Malraux in poi, è
un corpo vivo in cui continuano a innestarsi e a prosperare tanti
stimoli legati all’oggi: il nuovo ingresso con la piramide di vetro di
Ieoh Ming Pei inaugurato nel 1988, l’apertura dell’ala Richelieu nel
1993, dopo il trasferimento del potentissimo ministero delle Finanze che
resistette fino all’ultimo.
La prova più concreta che un grande museo può battere persino la burocrazia quando esprime un grande progetto culturale.
L’iniziativa
del «Corriere della Sera», con la collana dei trenta maggiori musei del
mondo, racconta non solo gli splendori delle collezioni ma anche il
legame con la storia dei popoli, con la loro cultura diffusa, col loro
gusto originale. I «Musei del Mondo» proporranno ai nostri lettori un
viaggio ragionato e divulgativo, grazie ai contributi di Philippe
Daverio, nell’universo delle idee e del bello. Roma non sarebbe Roma
senza la Galleria Borghese o i Musei Vaticani, così come New York
sarebbe impensabile senza il Metropolitan Museum o Mosca avrebbe un
volto diverso senza il magnifico Pushkin. Sono le tracce di quel cammino
dell’idea più elevata dell’uomo, come ci spiegò Malraux,
l’intellettuale-ministro innamorato dei musei.