Repubblica Cult 17.1.16
Nuoro
I colori di Klee l’eretico al servizio del mondo reale
di Paolo Russo
Quarantamila
abitanti e un taxi. Luminosi però i geni loci di Nuoro. Sebastiano
Satta, Grazia Deledda, Nobel 1926, lo scultore Francesco Ciusa, premiato
alla Biennale 1907. Fino ai più vicini: il grande Costantino Nivola, e
Maria Lai, massima artista d’una terra splendida e tragica. Nuoro offre
fino al 14 febbraio, una preziosa mostra sull’arte eternamente duplice,
figura trasfigurata, astratta ma riconoscibile, abissale e fin troppo
umana, solare però enigmatica di Paul Klee (1876-1940). Leonardesco
indagatore d’ogni forma e sapere, e perciò anche emozionato viaggiatore,
nutrì con le sue immersioni nel caos primigenio la propria creazione. I
cinquanta fra disegni, acquarelli e dipinti prestati da musei e privati
di spicco, abitano ora, col titolo “Mondi animati” e la cura di Pietro
Bellasi e Guido Magnaguagno, quel Man-Museo d’arte della Provincia di
Nuoro decollato, per coraggiosa scelta dell’ente, nel ’99 con Cristiana
Collu, dal 2012 affidato a Lorenzo Giusti. Il Man si offre quale tenace
modello di resistenza culturale low budget: meno di un milione il budget
annuo, nel 2015 ben 48mila visitatori.
Ad aprire la mostra è
l’olio Giovane giardino (1920), che con le sue infantili, gioiose
campiture di tenui colori partite in sghembo labirinto con alberelli,
spaventò a tal punto il nazismo da farglielo includere, con altre sue
opere, nel catalogo d’arte degenerata del ’37 a Monaco. È presente lo
“spirito animato” col quale Klee seppe scavare dal reale il noto
nell’ignoto con la speciale, universale qualità affettuosa ben leggibile
in “Mondi animati” e rimasta inalterata tutta la vita nonostante
l’artista fosse assediato dalle perdite: la fama che tardava a venire, i
problemi economici, la disfatta dell’utopia Bauhaus, ove a lungo
insegnò, il mondo sventrato da guerre che gli uccidevano gli amici e da
dittature che gli vietavano di creare. Fino alla lunga rara malattia
finale – la sclerodermia che gli desertificherà la pelle uccidendolo,
terrifico contrappasso per tanta sensibilità.
Non è un caso che il
mite, paziente, poderoso, eretico Klee, artefice, artigiano e
alchimista capace di oltre novemila opere, non ceda però al distacco dal
mondo tanto amato, fonte e garanzia della sua “magica cucina”,
utopicamente desiderosa d’esattezza nel disordine primigenio in cui
s’avventura. E che anzi, affretti il passo nell’imminenza di una morte
sempre da lui contemplata: nel ’39, ormai celebre, stimato e morente, la
sua prolificità, che catalogò con chirurgico metodo, vola a 1250
lavori, un nono dell’intero corpus.
Fra i dipinti, ecco ancora il
Fico (1929), acquarello splendido che dalla natura distilla liquide
trasparenze e profondità, forma ed essenza incantatorie; Foglie figurate
(1938), sintesi di un’origine simbiotica di piante e uomo, il cui feto è
accolto nelle foglie; l’antropomorfismo stravolto delle facce con
occhio di gatto di Espressioni di un volto (1939); Scena fiabesca alla
Hoffmann del ’21, rivelatrice dedica allo scrittore gotico tanto amato
risolta in calde geometrie color sabbia percorse, come pure gli
acquarelli Piccolo Mondo (1914) e Americano- Giapponese (1918), dal
consueto fluire di segni misteriosi però mai ostili. Assecondata
anch’essa da titoli rivelatori, la cospicua grafica di Klee esposta
(1910-1939), s’accende del suo gran talento satirico e immaginifico,
talvolta allegramente minaccioso, che fu dei suoi esordi di disegnatore e
caricaturista. Che insiste fino all’ultimo sulla favola, quasi sempre
inventata ma figlia della più alta tradizione morale, fra grottesco,
improvvise profezie materiche e una vertiginosa girandola da esploratore
e virtuoso di tutte le tecniche.