venerdì 8 gennaio 2016

Repubblica 8.1.16
Una spinta all’emancipazione sempre a rischio totalitarismo
di Roberto Esposito


Fin nel suo stesso nome — che rimanda a un luogo perfetto, ma inesistente — l’utopia presenta un’ambivalenza costitutiva, che percorre la sua intera storia. Sempre oscillante tra realtà e immaginazione, letteratura e politica, dogmatismo e critica, essa è stata alternativamente vista come prodromo del totalitarismo e come annuncio di libertà. Ricondotta da alcuni alla Repubblica di Platone, essa è in realtà un genere essenzialmente moderno, risalente al sedicesimo secolo. Diversamente dai racconti utopici di matrice ellenistica — come quelli di Evemero, Ecateo, Giambulo -, che guardano a una mitica età dell’oro situata nel più remoto passato, l’utopia rinascimentale si rivolge piuttosto al futuro. La stessa idea di “isola”, in cui è collocata da Moro, simboleggia lo strappo dalla terraferma della tradizione classica e cristiana. Certo, essa intende ricostruire una condizione di uguaglianza naturale, ma attraverso strumenti artificiali e una pianificazione di tipo tecnico. Non per nulla, soprattutto nella Nuova Atlantide di Francesco Bacone, la scienza ha un posto di rilievo. Lo stato perfetto non è dato in natura, ma è il prodotto di una determinata progettazione umana. Proprio questo elemento di pianificazione integrale, volto alla produzione di una società perfetta, espone però l’utopia al rischio della degenerazione. Ben visibile nella Città del sole di Campanella, tale carattere ingegneristico percorre le utopie settecentesche e ottocentesche. Neanche la critica di Marx al socialismo utopistico di Saint-Simon e Fourier, in nome di un socialismo scientifico, risulta immune da una tendenza totalizzante. Ciò spiega il ribaltamento del racconto utopico nella sua versione distopica operato, nel Novecento, nel Mondo nuovo di Huxley e in 1984 di Orwell. Eppure questa condanna non chiude la storia dell’utopia, come dimostra il suo rilancio nello Spirito dell’utopia e nel Principio speranza di Ernst Bloch. Una volta caduta la pretesa prometeica della perfettibilità del genere umano, l’utopia conserva intatta la propria carica emancipativa nei confronti dei poteri esistenti. Si direbbe che essa resti valida a patto di non immaginarsi integralmente realizzabile — di restare un disegno aperto, incompiuto. Come insegna Kant, le idee della ragione non sono destinate a concretizzarsi nella realtà, ma, se assunte come ideali regolativi, la possono spingere verso esiti apparentemente irraggiungibili.