giovedì 7 gennaio 2016

Repubblica 7.1.16
Jussi Adler-Olsen
“Sì alla solidarietà no all’idealismo nel Nord Europa siamo spaventati”
I paesi scandinavi non sono diventati né razzisti né egoisti, ma gli umori della gente sono inquietanti
intervista di Andrea Tarquini


BERLINO. «Svezia e Danimarca erano sotto la pressione dei migranti da tempo, i politici avrebbero dovuto sapere che quanto è accaduto, la necessità di controlli al confine, era possibile da anni. Ma il messaggio grave è stato la decisione unilaterale di Copenhagen e Stoccolma presa senza consultare i partner europei». Lo dice a
Repubblica Jussi Adler-Olsen, “giallista” impegnato e massimo scrittore danese.
Come giudica il ripristino dei controlli di frontiera da parte di Danimarca e Svezia?
«È una svolta. Le frontiere tra paesi scandinavi erano aperte, senza controlli, da diversi decenni. La Svezia ha commesso l’errore di lasciarsi andare troppo a lungo alla sua spinta di solidarietà con chi fugge e arriva in Europa, non ha saputo vedere quali problemi la migrazione creava. E adesso si paga il conto».
E in Danimarca, quanta paura dello straniero?
«I rifugiati sono tuttora benvenuti in Danimarca. La maggior parte delle forze politiche (eccetto i populisti del Partito del popolo danese che appoggiano il governo) hanno un consenso. Ma il nostro premier conservatore (Lars Loekke Rasmussen, ndr) ha reagito senza riflettere. Avrebbe dovuto negoziare subito con i partner europei, soprattutto con la Germania. D’altra parte sbaglia anche il resto d’Europa: avrebbe potuto reagire in modo efficiente, se per esempio si fosse decisa a spendere un anno e mezzo per costruire alloggi e infrastrutture per i profughi dalla Siria o da altrove nei paesi confinanti col luogo da cui loro fuggono. Adesso è troppo tardi ».
Sì, ma chi sbaglia di più, l’Ue intera o voi scandinavi?
«C’è un degrado della coscienza politica e del livello di dibattito sul tema, da noi e da voi. Capisco la Svezia perché è già sovraffollata, però è anche un paese vastissimo pieno di edifici non abitati. In Svezia come da noi la società è stata omogenea da tempo, ma negli ultimi vent’anni in contemporanea con l’immigrazione i partiti d’ultradestra sono molto cresciuti. I migranti fanno paura soprattutto ai giovani disoccupati, umori e timori sono fuori dal controllo».
E si risponde coi controlli alle frontiere?
«Purtroppo il problema non è nemmeno l’instaurazione di controlli alle frontiere con i problemi che crea. Il problema è il segnale che con i controlli i paesi scandinavi mandano: a lungo paesi-modello di democrazia, welfare, solidarietà, ora appaiono nazionalisti, egoisti, razzisti. Al tempo: non siamo nel Terzo Reich. Però gli umori della gente sono inquietanti. Anche tra gli elettori del premier conservatore Rasmussen. E nelle sue reazioni impulsive, come appunto la decisione di rispondere alla Svezia instaurando anche lui controlli al confine, sono mosse non da ricerca di soluzioni europee, bensì principalmente dal desiderio di restare al potere, cui egli si aggrappa. È un politico vecchio stile abituato a dipingersi a tinte forti».
Le frontiere controllate però incrinano gravemente l’immagine del modello nordico: egoista e non più solidale. Non le pare?
«Io capisco le critiche degli altri paesi europei, ma il problema qui al nord è fare chiarezza nelle nostre società. La maggioranza della gente spera che il governo ritiri la misura, ma come nel caso svedese vediamo che troppa generosità idealista non è più una soluzione».
Crisi del modello scandinavo, allora?
«No, non credo: i suoi tratti costitutivi restano. Però le decisioni unilaterali svedese e danese, prese senza parlare coi partner, hanno avviato un domino, mentre la sfida della migrazione riguarda tutti in Europa: di questo passo in un paio di settimane uno Stato Ue dopo l’altro tornerà ai controlli di frontiera anche la Germania e gli altri nella Ue. Purtroppo, le prime tessere che cadono nel domino di Schengen sono scandinave. Ma non dimentichiamo che fonti dell’intelligence negli ultimi tempi hanno segnalato la minaccia degli estremisti che si mischiano tra i profughi. Sbagliata, unilaterale, disastrosa per l’immagine del Nord, la scelta di Copenhagen e Stoccolma è dovuta anche a questo fatto».