mercoledì 6 gennaio 2016

Repubblica 6.1.16
Così l’antica rivalità tra sciiti e sunniti allontana il sogno della Mecca
di Tahar Ben Jelloun

L’Arabia Saudita ha stabilito delle quote per ogni Paese per accedere al luogo santo, scelti solitamente per sorteggio La rottura tra i due clan risale alla morte di Maometto nel 632. Ma oggi, come ha detto Khomeini, “l’Islam è politica”

IL PELLEGRINAGGIO alla Mecca è uno dei cinque pilastri dell’islam. Per poterlo effettuare bisogna disporre dei mezzi materiali e psicologici. Consiste in una visita dei luoghi santi della Mecca e di Medina e deve avvenire durante il dodicesimo mese dell’anno dell’egira.
La data è fissata nella seconda settimana del mese di Dhu-l-Hijja. La visita consiste prima di tutto nella purificazione. Fare le abluzioni, non portare abiti cuciti, per le donne non truccarsi; praticare l’astinenza sessuale; niente litigi; niente insulti; niente collera. Dopodiché, il pellegrino va sul monte Arafat, poi a Muzdalifah e a Mina, dove deve sostare tre giorni durante i quali lapiderà Satana e sgozzerà una pecora in sacrificio per rendere omaggio ad Abramo. Poi deve girare intorno alla Kaaba, dove si trova la pietra nera, e percorrere diverse volte la distanza che separa le due colline di Safa e Marwa. Prima o dopo di questo rituale, il pellegrino deve andare a Medina e stare una settimana in raccoglimento sulla tomba del profeta Maometto.
Ogni anno la Mecca accoglie tre milioni di pellegrini in arrivo da tutto il mondo. L’Arabia Saudita ha stabilito delle quote per ogni paese. Il Marocco, per esempio, ha l’autorizzazione per il pellegrinaggio di 25.000 credenti, che vengono scelti per sorteggio. Ci sono talmente tante richieste che la gente passa giorni e notti a pregare perché il proprio nome sia tra quelli estratti. Ora che Teheran ha sospeso seppure temporaneamente l’Umra Hajji, “il pellegrinaggio minore” che si può fare in ogni periodo dell’anno, si può immaginare il timore delle migliaia di candidati al pellegrinaggio annuale che vengano annunciati nuovi blocchi.
La crisi attuale ha la sua remota origine nella contestazione, da parte degli sciiti, del monopolio saudita sui luoghi santi. Appena salito al potere, l’ayatollah Khomeini aveva espresso il desiderio di vedere i luoghi santi gestiti a turno da sunniti e sciiti. Per i sauditi, l’ipotesi di cedere quel ruolo — che gli assicura uno status politico e religioso (Guardiano dei luoghi santi) ed entrate cospicue — è fuori discussione.
Un musulmano, un credente, non vive assolutamente il pellegrinaggio alla Mecca come un obbligo o un dovere, ma lo considera il desiderio più caro, il sogno più ambito. Una volta compiuto, il pellegrinaggio conferisce al credente una sorta di “sacralizzazione” che fa di lui un “hajj”: colui che ha lavato i propri peccati e che si prepara a fare ritorno nel proprio paese con il cuore e lo spirito pacificati, colmi di virtù e di umanità.
Il pellegrinaggio è anche la conferma di quanto dice il Corano: «Dio vi ha creati in popoli diversi perché vi incontriate e vi conosciate ». Il credente vive sul posto la diversità intorno alla stessa fede e allo stesso messaggio, quello della pace e dell’importanza della spiritualità rispetto ai beni materiali.
Vive una grande solidarietà, perché popoli venuti da tutti i continenti, molti dei quali non parlano arabo, si ritrovano intorno alla stessa speranza.
In quest’ottica, la rottura delle relazioni tra l’Arabia Saudita e l’Iran è un colpo fatale per tutti quelli che si apprestavano a partire per la Mecca. Per loro, sciiti o sunniti che siano, si tratta di suggellare il loro attaccamento alla religione musulmana.
Gli sciiti rappresentano circa il 10% dei musulmani nel mondo. Dopo la morte di Maometto, nel 632, alcuni hanno contestato il califfato di Abu Bakr, preferendogli Alì, genero e cugino del profeta.
I musulmani ortodossi ricordano che Maometto è l’ultimo profeta e che la sua successione è una prerogativa di Dio e non degli uomini. La rottura tra i due clan risale ad allora. Alì accederà al califfato ma cinque anni più tardi sarà assassinato da un ribelle. Gli sciiti sono eternamente in lutto per quella morte.
Oggi i credenti iraniani devono accettare di non poter andare temporaneamente alla Mecca. Dopo tutto è una questione politica e Khomeini ha detto e ripetuto che «L’Islam è politica o non esiste più».
(traduzione di Elda Volterrani)