Repubblica 29.1.16
I nuovi ostaggi
di Chiara Saraceno
MENTRE
ci si avvia al Family day succedono cose davvero strane e in palese
contrasto con la difesa dei diritti dei bambini e proprio da parte di
esponenti di un partito che è tra i sostenitori più entusiasti del
Family day e delle sue parole d’ordine: “Salviamo i nostri figli” e “I
bambini hanno diritto ad avere un padre e una madre”. La sindaca
leghista di San Germano Vercellese ha deciso che i figli di genitori che
non pagano, pur potendolo, le imposte comunali e le rette per la mensa
non verranno più ammessi non solo alla mensa e ai centri estivi, ma
persino ai parchi giochi, con buona pace del diritto (anche) al gioco
solennemente sancito dalla Dichiarazione internazionale dei diritti del
fanciullo. Non è chiaro come verrà fatto osservare il divieto: forse
obbligando i bambini a portare un segno distintivo ben in vista, in modo
da essere immediatamente identificati ed espulsi non appena si
avvicinano agli scivoli e alle altalene? Un altro sindaco leghista,
quello di Corsico, alza ulteriormente il tiro. Dopo aver escluso dalla
refezione scolastica i bambini dei genitori in debito con
l’amministrazione, ora minaccia di non lasciarli iscrivere alle scuole
comunali (nidi e materne, immagino). I bambini diventano così, a tutti
gli effetti, ostaggi delle amministrazioni, utilizzati per fare
pressione sui genitori.
Qualcuno dice che queste iniziative sono
state prese in funzione anti-immigrati, perché tra questi non solo si
anniderebbero i più poveri, ma anche sarebbero anche più frequenti i
contribuenti illegittimamente morosi. Lasciamo il beneficio del dubbio,
ed anche il sospetto che non stiamo parlando dei grandi evasori, di quel
mezzo milione di mancati contribuenti totali o parziali che il fisco
quest’anno ha stanato, che fruiscono della sanità, della scuola, delle
infrastrutture ecc. senza contribuire pur non essendo poveri, anzi.
Partiamo dall’ovvia constatazione che un Comune, come lo Stato, non può
semplicemente ignorare che ci sono contribuenti morosi i cui consumi di
beni collettivi sono a carico della collettività. Pagare le tasse e le
rette, se dovute, è un obbligo non solo legale, ma civile. Non pagarle,
se dovute, costituisce non solo un indebito sfruttamento della
solidarietà collettiva, ma anche un atto diseducativo nei confronti dei
propri figli, che in questo modo non possono imparare che l’appartenenza
ad una comunità comporta sia diritti sia doveri e che tutti debbono
contribuire ai beni comuni secondo i propri mezzi. Chi ritiene di non
poterselo temporaneamente permettere dovrebbe avere accesso a procedure
tramite le quali presentare le proprie ragioni. Se queste procedure non
ci sono, o non funzionano adeguatamente, occorre darsi da fare perché
vengano approntate. È dovere di una pubblica amministrazione definire in
modo equo le proprie imposte e tenere conto della loro sopportabilità
per i singoli. Ma è anche diritto della pubblica amministrazione, a
livello nazionale come locale, perseguire gli evasori con ogni mezzo
lecito.
Non rientra, tuttavia, tra questi mezzi rivalersi sui
figli per punire i genitori. I figli non sono pure appendici dei
genitori. Sono soggetti con diritti propri (maggiori, mi verrebbe da
dire, proprio perché più vulnerabili degli adulti). Se si vuole, si deve
punire gli adulti dopo aver esperito tutte le procedure di moral
suasion e conciliazione, si possono pignorare le auto o altri beni non
essenziali, rivalersi su una quota dello stipendio o altro ancora, ma
senza intaccare i diritti fondamentali dei bambini, tra cui il diritto
all’istruzione, alla salute, al gioco. Invece, troppo spesso i bambini,
specie i più svantaggiati, sono considerati pure appendici dei genitori,
senza diritti propri, che si tratti di punire, appunto, i genitori, o
di mettere a punto politiche di contrasto alla povertà o di concedere il
diritto d’asilo o al ricongiungimento famigliare. Ci si può intenerire
per un giorno per un bambino che studia sotto un lampione o che,
annegato, viene lasciato dal mare sul bagnasciuga con il vestitino in
ordine. Ma la normalità è diversa. Il quotidiano sacrificio di bambini
che si consuma ai nostri e altrui confini, così come la povertà dei
minori che vivono in Italia, non mobilitano neppure una frazione delle
energie e dei “valori” che si investono per “difendere i nostri figli”
dalla minaccia della genitorialità omosessuale. I bambini degli “altri” –
che siano figli di persone omosessuali, di piccoli evasori, o di
migranti - hanno diritti diversi dai “nostri” e, se utile per punire i
genitori, possono anche essere presi in ostaggio.