Repubblica 29.1.16
L’importante è dare ai figli la loro libertà
di Massimo Recalcati
Freud
dava due notizie ai genitori. La prima, piuttosto disarmante, è che si
tratta di un mestiere impossibile. La seconda, che forse ci può
rincuorare, è che i migliori tra loro sono quelli consapevoli di questa
impossibilità.
Ma perché il mestiere del genitore sarebbe
impossibile? Perché, come mostra l’esperienza, non si può esercitare
questa funzione se non in modo sempre, più o meno, insufficiente,
incerto. Nessuno può, infatti, possedere la risposta infallibile su qual
è il senso della vita, del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto.
Tutti noi ci barcameniamo alla meno peggio navigando a vista,
rinunciando alla favola della mano sicura che guida la vita dei figli.
Questo spiega anche perché i peggiori genitori sono invece quelli che
pensano di essere dei buoni genitori, o, peggio, di incarnarne il loro
modello ideale. La psicoanalisi raccoglie sovente i cocci provocati da
questo tipo di genitori eccessivamente identificati alla loro funzione
educativa. Accadde, tra gli altri, al povero Schreber, presidente della
Corte di Appello di Lipsia, paranoico delirante, che dovette sopportare
da bambino il sadismo folle di un padre inventore di apparecchi
educativi finalizzati a correggere la scarsa forza di volontà dei suoi
figli.
Affermare che il mestiere del genitore è impossibile
significa che non esistono manuali in grado di spiegare come si fa ad
essere un genitore sufficientemente buono. La credenza — al limite della
superstizione — del nostro tempo alimenta invece la fantasia che
esistano ricette predefinite e valide per tutti capaci di rendere le
cure genitoriali efficaci. Manuali che spiegano come regolare il sonno
del proprio bambino, il suo appetito, le sue facoltà cognitive, il suo
temperamento, il suo comportamento in generale. Manuali che spiegano
come calibrare nella giusta misura gratificazioni e frustrazioni, premi e
punizioni, affettività e normatività. Non casualmente questo
proliferare di un sapere educativo pret-à-porter fiorisce proprio nel
momento in cui si assiste al tramonto dell’autorità simbolica in tutte
le sue declinazioni, prima fra tutte quelle del pater familias. Se il
tempo del padre-padrone si è esaurito, bisogna affidarsi a manuali
dall’aspetto più democratico e ammantati da una parvenza di
scientificità per orientare con sicurezza la vita dei nostri figli. Ecco
allora apparire un esercito di esperti specializzati sulla funzione
genitoriale che spiegano — di fronte al vuoto lasciato dal declino
(benedetto) dell’ideologia patriarcale — in che cosa consisterebbe la
“giusta” educazione. Una pletora di istruttori di genitori (solitamente,
a loro volta, genitori protagonisti di fallimenti) si prodiga
nell’elencare le regole che dovrebbero garantire un successo educativo.
Ma
è questa la via per provare a reinventare un modello educativo
alternativo a quello che abbiamo ereditato dall’ideologia patriarcale e
ai fallimenti di quello libertario post ‘68? I migliori genitori, spiega
Freud, sono quelli consapevoli della loro insufficienza, ovvero quelli
che rifuggono da un sapere predefinito, standard. Quelli che sanno che
la sola cosa che conta nel rapporto coi figli è aver fatto loro segno
dell’amore, ovvero riconoscerli nella loro assoluta particolarità. Senza
questo riconoscimento la vita si ammala, si depotenzia, si disperde.
Quello che conta nel processo di umanizzazione della vita è avere fede
nel desiderio dei propri figli, donare loro la possibilità della
sconfitta e del fallimento, ma anche quella di rialzarsi, di ripartire
contando sul sostegno dei loro genitori. Quello che conta è donare loro
la libertà di essere diversi da come li avremmo voluti; è lasciarli
essere quello che sono. Sartre diceva che se i genitori hanno delle
attese sui figli i figli avranno dei destini e, solitamente, assai
infelici. Nessuna regola comportamentale può compensare l’assenza del
segno d’amore che sa riconoscere la particolarità reale del figlio al di
là di ogni sua rappresentazione ideale.