Repubblica 29.1.16
La crisi migratoria rivela chi siamo veramente
di Lucio Caracciolo
È nelle crisi che riveliamo chi siamo. C’è da temere per il nostro futuro, se siamo quelli che sembriamo essere oggi.
STRETTI
nella morsa della crisi migratoria e della minaccia terroristica —
spesso assurdamente presentate come due facce della stessa medaglia —
c’è da temere non tanto per il futuro dell’Unione Europea: che fosse un
guscio vuoto, senz’anima né orgoglio, era già evidente prima di questa
doppia sfida. In questione è ora il carattere delle nostre democrazie.
Nessuna esclusa. Più precisamente: che ne è dei valori di libertà e di
tolleranza ricamati nelle nostre costituzioni e fieramente esibiti al
mondo come paradigma di civiltà?
È la cronaca che ci impone questa
dolorosa interrogazione. Ieri il governo di Stoccolma ha annunciato che
rispedirà in patria — una patria ridotta a cumulo di macerie —
ottantamila richiedenti asilo. Eppure la Svezia è una delle più solide
democrazie continentali, che ha sempre generosamente accolto migranti
d’ogni colore. E dove fino allo scorso anno il centrodestra affrontava
in campagna elettorale la questione migratoria con lo slogan “Aprite i
vostri cuori!”. Oggi non salterebbe in mente nemmeno alla sinistra.
La
pulsione xenofoba, particolarmente diffusa tra Mar Baltico e Mar Nero —
la fascia continentale più sfidata da imponenti flussi migratori —
investe persino le due maggiori democrazie continentali: Francia e
Germania.
A Parigi, un governo di sinistra, nel finora malriuscito
tentativo di sottrarre consensi al Fronte Nazionale, si spinge a
rivedere la Costituzione in senso securitario sull’onda emotiva delle
stragi del 13 novembre. Le dimissioni del ministro della Giustizia
Christiane Taubira — contro la proposta revoca della nazionalità ai
cittadini con doppio passaporto, nati in Francia e colpevoli di
terrorismo — sono un’eccezione che non modificherà la regola.
A
Berlino, dopo i fatti di Colonia i sondaggi danno Alternativa per la
Germania ben oltre il 10 per cento: nel prossimo Bundestag avremo per la
prima volta dopo la fine della Seconda guerra mondiale una forte destra
ipernazionalista e antieuropea. Con cui la signora Merkel, sotto tiro
nel suo stesso partito per l’iniziale apertura ai migranti, dovrà fare
necessariamente i conti. In tutta Europa vige ormai la prassi dello
scaricamigrante, secondo una rigorosa direttrice Nord-Sud. Chi sta più a
Settentrione cerca di bloccare il migrante — per quattro quinti
profughi in fuga da Siria, Iraq, Afghanistan e altre zone di guerra —
per rispedirlo al vicino meridionale. Un quarto di secolo dopo
l’abbattimento del Muro di Berlino risorgono barriere fisiche e
informali, dal filo spinato ai cordoni di polizia ed esercito. Schengen è
di fatto sospesa in una mezza dozzina di Paesi. L’Unione Europea
rischia di trasformarsi in arcipelago di ghetti. Incomunicanti e ostili.
In alcune cancellerie europee si dibatte su come trasformare la Grecia
in gigantesco campo profughi, cacciandola dal sistema Schengen visto che
non siamo (ancora) riusciti ad espellerla dall’eurozona. Qualcuno
propone di affondare le barche dei migranti.
Dovunque latita una
strategia di medio periodo e si preferisce trattare questo dramma quasi
fosse un’emergenza, non per quello che è: parte decisiva della nostra
vita di qui al futuro prevedibile.
Nessun leader politico pare
disposto a considerare un’alternativa razionale all’attuale deriva
securitaria. Per esempio selezionare nei Paesi di frontiera con l’Unione
Europea, a cominciare dalla Turchia, chi ha diritto ad essere accolto
come rifugiato in casa nostra e chi invece non può aspirarvi. Ricevendo
civilmente i primi e remunerando adeguatamente i paesi esterni all’Ue
che dovranno continuare a ospitare diversi milioni di donne, bambini e
uomini. I quali non hanno più casa loro e difficilmente ne avranno
un’altra.
Nelle prossime settimane il clima è destinato a
peggiorare. Sta infatti per scattare, salvo ripensamenti improbabili, la
nuova spedizione militare franco-britannica-americana, con qualche
partecipazione italiana, in quel che resta della Libia. Obiettivo:
sradicarvi lo Stato Islamico. Il quale non aspetta di meglio per
ostentarsi campione della resistenza libica contro i crociati
occidentali. E per scatenare le sue cellule europee contro gli
“invasori”. Gettando nuova benzina sul fuoco delle xenofobie nostrane,
in un circuito perverso di azioni e reazioni irrazionali.
La
storia dimostra che l’angoscia collettiva è un mostro difficilmente
addomesticabile. Ma rinunciare a combatterlo, per chi si professa
democratico e liberale, equivale al suicidio politico.