Repubblica 24.1.16
Il Paese e gli scienziati
di Elena Cattaneo
Q
UESTO non è più un Paese per scienziati, malgrado il più o meno
glorioso passato. Non lo è più se un candidato a sindaco di Milano (e
attuale vice) si vanta per aver sostenuto la battaglia contro la “famosa
direttiva europea sulla vivisezione”. Non sapendo che il termine
“vivisezione” descrive una pratica estranea alla Ricerca; che senza
sperimentazione animale la medicina sarebbe a uno stadio tribale.
CHE
la citata direttiva è frutto di anni di dialogo tra esperti e
associazioni animaliste per trovare il miglior bilanciamento tra diverse
aspettative; che Milano e zone limitrofe sono un importante distretto
biomedico del Paese, e che non abbiamo bisogno di ulteriori motivi per
accrescere la fuga dei cervelli, mortificando l’innovazione.
Non è
un Paese per scienziati se servono mesi e mesi perché il ministero
della Salute approvi i progetti di sperimentazione animale (la norma
prevede 40 giorni), facendo ammuffire idee e frustrando capacità
costrette a competere col mondo zavorrate dalle proprie istituzioni; e
se l’apertura dei bandi di ricerca Prin (del ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca) è affidata a procedure che sembrano
quelle della lettura dei tarocchi tanto sono inaffidabili oltre che
saltuarie nei tempi e disarticolate nelle valutazioni; e se il ministro
delle Politiche agricole millanta di “andare oltre” gli Ogm e assegna
qualche milione ai suoi enti (briciole, a cui nessuna libera ricerca
universitaria potrà direttamente accedere) a patto che le idee rimangano
chiuse nei laboratori, senza l’indispensabile verifica in campo aperto;
lo stesso ministro che benedice una pratica agricola (la biodinamica)
basata su astrologia e altre superstizioni.
Non è un Paese per
scienziati se si commina il carcere a ricercatori che derivino da
embrioni umani “sovrannumerari abbandonati” cellule staminali, e se si
concepiscono bandi di ricerca che escludono, immotivatamente, progetti
che utilizzino quelle cellule, ma si rimane ipocritamente indifferenti
all’importazione (legale) delle stesse cellule dall’estero. Non lo è se
si impone per via giudiziaria una presunta cura (il “metodo Stamina”),
la si avalla per legge, salvo poi scoprire - come sostenuto fin
dall’inizio da tutti gli scienziati – che era una tragica truffa. E se,
pochi mesi dopo, si ripete l’errore di metodo cercando di finanziare una
specifica sperimentazione clinica, ancora “per legge”.
Non è un
paese per scienziati se questi sono considerati fantomatici untori di
manzoniana memoria e li si indaga con l’ipotesi di aver deliberatamente
introdotto un batterio (temuto ovunque nel mondo) che sta facendo strage
di ulivi nel Salento. Quegli studiosi cercavano di capire il problema.
Le regole dell’Ue prescrivono con rigore e esperienza cosa fare (e
prontamente adottate in Francia sono state efficaci), ma una procura
della Repubblica dice che l’esistenza di ulivi “ancora vivi pur se
positivi per la Xylella” è un motivo che avvalora le tesi accusatorie.
Un po’ come dire che, siccome alcuni fumatori non si ammalano di cancro
al polmone, allora il fumo è innocuo.
E cosa dire di un Paese che
persegue un modello di sviluppo improvvisato, investe un misero 1,2% del
Pil in ricerca e sviluppo e impiega 4,6 ricercatori per mille occupati?
Per inciso, le medie Ue sono circa il doppio.
Ma se questo non è
un Paese per scienziati, cosa facciamo noi perché torni ad esserlo?
Quanta responsabilità abbiamo nell’accettare che la Scienza sia
squalificata, processata, manipolata, svenduta, sotto-finanziata ?
Di
certo non si promuove la Scienza – anzi la si tradisce – diffondendo
dati manipolati. Né aiuta la Scienza chi va alla ricerca di
finanziamenti top- down, ad hoc per il proprio orto. “Crepi quello degli
altri”, anche se migliore. O chi è alla ricerca di amicizie e
scorciatoie politiche, cancellando ogni logica valutativa su basi
comparative, spogliando il Paese degli ultimi barlumi di razionalità e
integrità necessari per provare a ricostruire una nuova politica del
finanziamento pubblico per la Ricerca. Una politica capace di prevedere
un unico meccanismo competitivo e affidabile di erogazione di ogni
singolo euro (un’Agenzia per la Ricerca, come chiede il Gruppo 2003) con
bandi aperti a tutti, con tutti allo stesso nastro di partenza,
neutralizzando chi s’approfitta del frazionamento delle fonti di
finanziamento, dell’incompetenza degli erogatori, o è prono alla
necessità propagandistica del decisore politico. Andrebbe impedito che
un ente possa ricevere decine di milioni dallo Stato per accantonarli in
depositi infruttiferi per anni, mentre i laboratori agonizzano e i
nostri dottorandi (personale laureato) percepiscono un salario di mille
euro al mese.
Non aiuta la Scienza quella parte di comunità
scientifica che sceglie di tacere, anche se avrebbe gli argomenti per
dire “no”, e si limita a “non esistere” per la società pur di non pagare
il costo e la fatica d’essere sgradevole, scomoda o pressante. Anche
quando i fatti lo richiedono, preferendo il quieto vivere del “buoni con
tutti”, “per tutte le stagioni”, in fondo “non si sa mai, ci possono
essere briciole anche per noi”.
Scienza, Ricerca e Accademia hanno
un ruolo sociale. Formano generazioni libere, preparate e critiche. Non
difendere questa libertà (e integrità decisionale) non lascia alibi.
Tantomeno a chi guarda dolente a un Paese in compiaciuta contemplazione
delle vestigia del passato, per nascondere che non sa progettare il
presente e improvvisa sul futuro. La Scienza è il miglior strumento di
cui disponiamo per comprendere il mondo e le opportunità offerte da un
presente complesso, fragile e competitivo. Ciascuno dovrebbe capire qual
è il proprio compito, il personale imperativo sociale, e impegnarsi a
metterlo in pratica. Senza sconti per nessuno. Nemmeno per chi si
professa scienziato, perché la Scienza può essere cosa discorde da loro e
non perdona.
Docente all’Università Statale di Milano e senatore a vita