Repubblica 24.1.16
I tabù del mondo
Il segreto di Caino l’uomo che voleva uccidere l’Ideale
Eroe
negativo biblico, simbolo universale di tradimento, il figlio di Adamo
ammazza il fratello per eliminare l’Altro e vivere senza rivali in
simbiosi incestuosa con la madre In realtà ciò che non sopporta è vedere
in Abele una versione“perfetta” di sé. Ma solo dopo l’omicidio scopre
che il sangue versato ha lo stesso colore del suo
Come ha spiegato
Lacan qui la violenza non è quella selvaggia, animale: deriva invece da
una regressione allo “stadio dello specchio” incarnato anche da Narciso
di Massimo Recalcati
È
la ragione ultima dell’odio geloso e mortale di Caino verso Abele: il
fratello è il suo rivale giurato solo in quanto incarna il suo Ideale.
Egli rifiuta di farsi suo “custode” perché è accecato dall’invidia:
liberandosi di Abele, Caino coltiva l’illusione di distruggere chi lo
deruba della propria immagine. In realtà scoprirà che il suo sangue ha
lo stesso colore del sangue di suo fratello.
Il mito di Narciso
svela la tendenza, profondamente distruttiva, dell’uomo a restare
prigioniero dell’adorazione per il proprio Io. Respingendo l’alterità,
Narciso finisce per perdere la propria vita, muore affogando nel
tentativo di unificarsi con se stesso. La sua passione non conosce
limiti; è accecata, furiosa, insaziabile. Per questa ragione, secondo la
psicoanalisi, la violenza umana trova il suo fondamento proprio nel
mito di Narciso. Prendiamo come riferimento la prima grande scena di
violenza narrata dalla Bibbia nella Genesi, quella del gesto fratricida
di Caino. Anche Caino come Narciso non è in grado di fare esperienza
dell’alterità; egli viene sequestrato da sua madre che lo elegge a
proprio “Uomo” al posto di Adamo. Si tratta di un sequestro incestuoso
sul quale ha dedicato pagine insuperabili il biblista francese André
Wenin in Dalla violenza alla speranza (Qiqajon, 2005): Caino appartiene
alla madre, non ha vita propria, è catturato dallo specchio dello
sguardo materno. Lui e sua madre riproducono la scena in cui Narciso si
perde: la confusione dilaga tra i Due perché non c’è presenza simbolica
del Terzo, del principio della mediazione simbolica rappresentato dal
padre. Come Edipo, anche Caino si trova perso nelle spirali di una
simbiosi mortifera con sua madre. Egli odia l’alterità perché l’alterità
rompe il legame incestuoso in cui è sprofondato. È su questo sfondo che
si deve iscrivere il suo confronto mortale con Abele.
Per Lacan
la violenza non scaturisce solo dalla privazione e dalla frustrazione
provocata da una realtà sociale impietosa. Esiste una radice più
profonda della violenza che precede, se si può dire così, ogni sua
causalità sociologica. Si tratta della fascinazione del soggetto verso
il proprio Ideale. La violenza umana non segnala mai — come invece
sembra credere Wenin nel suo commento a Caino — una regressione al
bestiale, il «prevalere dell’animale sull’essere dell’uomo», ma la
dipendenza dell’uomo dal suo narcisismo, dalla sua difficoltà di
accogliere veramente l’alterità. Solo in questo modo possiamo intendere
la cattura incestuosa di cui resta vittima Caino. La violenza umana
sorge da una regressione allo specchio e non all’istintualità animale.
È
una tesi che Lacan ha sviluppato attraverso il suo celebre “stadio
dello specchio” che racconta il mito della nascita dell’Io. Il bambino
che non ha ancora consapevolezza della sua individualità, tra i sei e i
diciotto mesi, osserva allo specchio l’immagine ideale di se stesso
senza però poterla mai afferrare. Questa immagine gli appare tanto
ideale quanto irraggiungibile. Mentre nella realtà egli si vive privo di
coordinazione motoria, di parola, di autonomia, lo specchio gli
restituisce una rappresentazione monumentale, statuaria, idealizzata di
se stesso. L’immagine che lo specchio gli riflette aiuta il bambino a
potersi riconoscere come un soggetto, ma solo a prezzo di uno
sfasamento: nessun umano potrà mai coincidere con l’immagine ideale di
se stesso che lo specchio mentre gli restituisce gli sottrae, in realtà,
per sempre. La nostra vita non sarebbe allora altro che la rincorsa
vana verso questa coincidenza impossibile da realizzare.
Narciso
incarna questo dramma al suo colmo. E Caino? Perché non possiamo capire
l’hybris che ispira il suo gesto atroce senza evocare lo spettro di
Narciso? Caino vede in Abele l’immagine ideale di sé che egli vorrebbe
essere ma non è. Abele è, al tempo stesso, un oggetto ideale e un
rivale. Caino invidia Abele in quanto prediletto da Dio. Come Narciso
egli non sopporta di non essere l’immagine che lo specchio gli ha
sottratto. Ecco allora che colpisce Abele con la ferocia criminale che
solo gli uomini, diversamente dagli animali, sanno mostrare. Tuttavia,
colpendo il fratello — come gli ricorda il suo Dio — non fa altro che
colpire se stesso. Abele, infatti, mostra a Caino tutta la sua
insopportabile incompiutezza. Per questa ragione non solo esistono miti
fratricidi all’origine delle grandi Civiltà (si pensi a quello di Romolo
e Remo per l’antica Roma), ma si ricerca sempre in ogni dittatore e in
ogni persecutore incallito la continuità inconscia che lo lega
all’oggetto indistruttibile del suo odio.
Il gesto di Caino si può
intendere solo attraverso la chiave di Narciso. La psicoanalisi
definisce “proiezione” un processo psichico di difesa che consiste nel
localizzare nello straniero e nel diverso quelle parti più oscure di noi
stessi che non riusciamo ad integrare nella nostra personalità diurna. È
l’ambivalenza radicale e inquietante che ci lega a doppio filo ai
nostri nemici: lo xenofobo, il fascista, l’intollerante è il più
prossimo a noi stessi, abita in noi stessi prima di incarnarsi
nell’altro. Abele è l’intruso, il secondogenito, colui che è arrivato
dopo, il figlio ”aggiunto” che ha scombussolato l’identità incestuosa di
Caino. La sua vita non è stata accolta con l’entusiasmo con il quale è
stata accolta quella del fratello, ma la sua esistenza impedisce che
Caino sia il primo e unico figlio. Il secondogenito — che nella Bibbia è
sempre premiato rispetto al primo — impone a Caino, l’incestuoso,
l’esperienza dell’alterità.