Repubblica 23.1.16
Brexit o Bremain, il dilemma inglese
In ogni caso prevarrà una paura, quella di essere tagliati fuori o di perdere sovranità
di Timothy Garton Ash
USCIRE
dall’Ue o rimanere, Brexit or Bremain? È il quesito che probabilmente
verrà posto ai britannici tra cinque mesi, il 23 giugno prossimo, se al
vertice Ue a metà febbraio la rinegoziazione di David Cameron andrà in
porto.
L’ESITO è al contempo sostanzialmente irrilevante rispetto
alla questione su cui gli elettori dovranno esprimersi e importantissimo
per la risposta che daranno.
Irrilevante perché le argomentazioni
strategiche a sostegno della permanenza nell’Ue, tirando in campo il
vitale interesse nazionale già sostenuto dai due ex leader conservatori,
John Major e William Hague, restano valide, quale che sia la portata di
una rinegoziazione comunque modesta. Il ruolo che la Gran Bretagna avrà
nel mondo nei prossimi vent’anni non può essere deciso dal successo o
meno della richiesta di Cameron di esimersi per quattro anni dal pagare i
sussidi ai lavoratori polacchi.
D’altro canto l’esito della
rinegoziazione è cruciale perché molti britannici non sanno ancora che
pesci prendere. Nei sondaggi gli indecisi danno risposte molto diverse a
seconda che, nelle ipotesi prospettate, Cameron torni da Bruxelles con
un pacchetto di riforme definibili come sostanziose, oppure con un pugno
di mosche. Nel primo caso la maggioranza degli intervistati si esprime a
favore della permanenza nell’Ue, nel secondo opta per l’uscita. Dato
che gli elettori già decisi sono più o meno metà per la Brexit e metà
per la Bremain, sarà questo centro permeabile a determinare l’esito del
referendum.
In ogni caso è probabile che il risultato veda il
trionfo di una paura sull’altra. Si tratta di capire quale paura
prevarrà, se il timore di essere ulteriormente fagocitati da un super
stato europeo nascente, con conseguente perdita di sovranità,
democrazia, identità e controllo dei confini nazionali, o quello di
essere lasciati fuori al gelo, come la Norvegia o la Svizzera, di fronte
a regole stabilite da una Ue in cui non si ha alcuna voce in capitolo.
Personalmente
resto dell’opinione che la maggioranza dei britannici sceglierà di non
correre i rischi di un’uscita dall’Ue, un po’ come la maggioranza degli
scozzesi nel referendum per l’indipendenza ha scelto di non correre i
rischi di un’uscita dal Regno Unito. Se la ragione ha prevalso sul
sentimento nel Midlothian sarà così anche nel Middle England.
Ma i
referendum sono insidiosi. Spesso i votanti non rispondono ai quesiti
sulla scheda. La maggior parte dell’imprenditoria britannica per ora
resta a guardare, anche se, stando a un’inchiesta del Financial Times,
solo l’un per cento degli imprenditori britannici è favorevole
all’uscita dall’Ue. I capitani d’industria sostengono di aver ricevuto
dal governo il chiaro invito ad attendere la rinegoziazione prima di
muoversi. Mercoledì Cameron ha di fatto invertito la rotta, esortando
così gli imprenditori a Davos: «Se siete convinti, come me, che la Gran
Bretagna stia meglio in un’Unione europea riformata, allora … aiutatemi a
perorare la causa della permanenza ». Questo pur senza conoscere
l’esito della rinegoziazione. Ma ci sono anche grandi imprese che temono
la reazione negativa dei consumatori euroscettici. Se gli imprenditori
attenderanno il panico dell’ultimo momento, come hanno fatto in
occasione del referendum scozzese, potrebbe essere troppo tardi.
Il
maggior pericolo per la campagna pro permanenza nella Ue è dato
dall’eventualità che una nuova crisi dei profughi colpisca il continente
nei mesi precedenti il referendum e forse, Dio non voglia, si verifichi
un altro attentato terroristico come quelli di Parigi. In un sondaggio
You-Gov, tra gli obiettivi della rinegoziazione di Cameron gli
intervistati hanno privilegiato «il controllo delle frontiere e
dell’immigrazione dall’Ue» (52% ), e i «sussidi erogabili ai migranti
UE» (46%). Ora tra la migrazione interna Ue e i profughi dal Medio
Oriente il rapporto logico è scarso, come è tenue il legame tra i
profughi dal Medio Oriente e gli attacchi terroristici in Europa
occidentale. Ma se in estate ogni giorno arriverà notizia di profughi
siriani in attesa a Calais, sarà forte la tentazione di tirar su il
ponte levatoio a Dover.
Un’analisi approfondita individua due
principali gruppi di elettori indecisi, 7,5 milioni che, per dirla in
maniera figurata, non riescono a mettere d’accordo il cuore con la testa
e altri 9,5 milioni cui si applica la bella definizione di «giovane
centro qualunquista». I primi saranno dominati dal timore razionale. Il
ragionamento economico chiaramente porta a preferire la pemanenza. Non è
bello essere come la Norvegia: per dirla con Cameron, stai zitto e
paghi. Un grande esperto di negoziati commerciali con cui ho parlato si è
detto dubbioso che la Gran Bretagna riesca anche solo a garantirsi un
buon accordo per l’accesso al mercato unico. L’Ue ha usato il colossale
peso del suo mercato per negoziare accordi di libero scambio favorevoli
con circa 200 paesi. La Gran Bretagna, da sola, non riuscirebbe a
ottenere condizioni così favorevoli e vivrebbe anni di incertezza
impegnata a rimaneggiare accordi accumulati nell’arco di quarant’anni.
Le
imprese straniere e gli opinion leader propensi alla permanenza della
Gran Bretagna nella Ue non dovrebbero perder tempo a minacciare o fare
allarmismo, ma spiegare con calma come si comporterebbero nelle due
diverse ipotesi, Brexit o Bremain. Lo ha fatto il gestore di energia
francese Edf in una lettera al personale britannico all’epoca del
referendum scozzese. Dai colloqui con fonti francesi, tedesche e
americane emerge che se i britannici sceglieranno la Brexit, Germania e
Francia si coalizzeranno immediatamente nel tentativo di sviluppare
l’Eurozona come nucleo centrale dell’Ue, mentre gli Usa presterebbero
minore attenzione alla Gran Bretagna per concentrarsi sull’Europa
dell’Eurozona. Se Barack Obama verrà in Gran Bretagna in primavera per
una visita di commiato non dovrebbe farne mistero. Ma non ci si può
limitare a “spaventare”. Studi dettagliati dimostrano che i più giovani
tra i votanti indecisi associano all’adesione della Gran Bretagna all’Ue
anche fattori positivi, tra cui «prosperità », «opportunità per la
nuova generazione » e «più forza», non meglio specificata. La campagna
per il sì deve fare appello alla speranza quanto al timore razionale.
Bisogna
che i nostri partner continentali ci dicano quale ruolo positivo
individuano per la Gran Bretagna in Europa. Perché l’Ue abbia un senso
nel ventunesimo secolo l’Europa deve tenere il passo in un mondo di
giganti, quindi poter contare su una politica estera e di sicurezza
efficace.
Come è possibile tutto ciò senza il pieno impegno di uno
dei due stati europei che vanta esperienza di potenza mondiale, un
seggio permanente in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu e, come la
Francia, è ancora pronto ad usare il potere militare? Per riuscire nel
ventunesimo secolo l’Europa deve avere due nuclei, uno economico e
monetario, costruito attorno alla Germania e all’Eurozona, e un nucleo
diplomatico e di sicurezza che includa la Gran Bretagna. Se in Europa
continentale o in Nord America qualcuno è d’accordo, è ora che lo dica
forte e chiaro.
(Traduzione di Emilia Benghi)