venerdì 22 gennaio 2016

Repubblica 22.1.16
Il sentiero dell’ambiguità
di Stefano Folli

LA maggioranza che sostiene Renzi non è cambiata, tuttavia si cammina sul filo dell’ambiguità.
E IN Parlamento il potere di Denis Verdini è cresciuto. Così si possono riassumere i fatti al di là delle polemiche inevitabili che investono il Partito Democratico. Non è cambiata la maggioranza perché al Senato mercoledì si era votato per la riforma costituzionale e quindi al di fuori dei patti politici che reggono il governo. È vero però che il centrosinistra e l’area di Alfano insieme non avrebbero raggiunto i 161 voti, ossia la maggioranza assoluta richiesta. Era previsto, o almeno nel novero delle probabilità. I voti del gruppo di Verdini, transfughi dal centrodestra, sono arrivati in soccorso e hanno permesso di salvare la riforma. Nessuna sorpresa, dal momento che lo stesso gruppo si era espresso in modo analogo nelle precedenti letture.
Perché allora si parla di governo Renzi-Verdini? È una forzatura polemica, ma coglie un nocciolo di verità. Le tre vice-presidenze assegnate ai verdiniani nelle commissioni sono apparse come il frutto di un classico baratto parlamentare: poltrone in cambio di voti. In realtà le vice- presidenze spettano anche all’opposizione. Quindi da un punto di vista formale il presidente del Consiglio avrà buon gioco a dimostrare che tutto è nelle regole. Il voto riguardava la riforma e non il programma di governo, tantomeno la fiducia. Quanto alle commissioni, e al di là delle ombre sui singoli personaggi, si è fatto ricorso alla prassi garantista che prevede un certo numero di posti ai partiti di opposizione. Addirittura Altero Matteoli, dissidente di Forza Italia, toscano di Livorno, è rimasto presidente della commissione Lavori pubblici del Senato.
Che si tratti di un gioco di destrezza, è evidente. Nella sostanza e fin dalla sua nascita il gruppo di Verdini non si colloca più all’opposizione. O meglio, mantiene una parvenza in tal senso proprio perché non ha mai votato la fiducia al governo. Ma si trova senza dubbio ai margini della maggioranza, utile al premier quando c’è da rinforzarne i ranghi. Come è accaduto l’altro ieri e come potrà accadere nel prossimo futuro su altri temi. Verdini stesso non ne fa mistero e ci tiene a marcare la sua crescente rilevanza politica. Quanto più il Pd e l’esecutivo fossero indeboliti a sinistra — dalle mini-scissioni o dall’insofferenza della minoranza bersaniana — tanto più il plotone di Verdini sarebbe necessario, almeno al Senato. A fianco del partito renziano ma senza una confluenza che per il premier-segretario sarebbe gravemente dannosa.
È un mini-patto del Nazareno che comincia a dare frutti e garantisce a Renzi una riserva personale in caso di guerriglia parlamentare. Gli avversari del presidente del Consiglio considerano tutto questo inaccettabile e forse hanno ragione. Ma quali armi hanno per impedirlo? La base della maggioranza alle Camere non è formalmente cambiata. Se lo fosse Renzi dovrebbe prenderne atto e salire al Quirinale per sentire cosa ne pensa il capo dello Stato. Ma non accadrà perché tutti si sono mossi con accortezza.
Quanto al “listone” comune Renzi-Verdini, il cui rischio è paventato da Bersani, per ora non esiste nemmeno come ipotesi. Ma è anche vero che le elezioni sono lontane, almeno un anno abbondante, e di qui ad allora molte cose possono cambiare. Allo stato, il premier non ha alcun interesse ad accogliere nelle liste elettorali i suoi nuovi sostenitori: perderebbe voti anziché guadagnarne. Ma ci sono altri modi per far vivere l’alleanza e i prossimi mesi diranno quali. Nel frattempo, la vera domanda riguarda la minoranza del Pd. Intendono passare il resto della legislatura a lamentarsi della spregiudicatezza di Renzi e a incassare sconfitte? Se credono che l’intesa con Verdini sia l’embrione del fatidico “partito della nazione”, possono contrastarla sul piano politico e parlamentare. Ma occorre un dinamismo e una tenacia, nonché una varietà di argomenti, di cui finora non si è vista traccia. Per ora, chi dimostra di avere una strategia, sia pure fondata sull’astuzia, è Renzi.