Repubblica 22.1.16
Bersani: no a ammucchiate
Gianni Cuperlo (Sinistradem)
“Se si affida alla destra mette a rischio il Pd e non cerchi plebisciti”
“Mi aspetto parole chiare dalla direzione di stasera: dove si vuole portare il Partito democratico?”
“Siamo nati per fare le riforme, e non per allearci con Denis Il premier deve dirci se siamo davanti a un cambio di natura”
intervista di Annalisa Cuzzocrea
ROMA.
«Andando verso il partito della nazione, Matteo Renzi mette a rischio
il Pd». Gianni Cuperlo consiglia al premier di lasciare stare i gufi e
dire parole chiare sul partito, che altrimenti - secondo il leader di
Sinistradem - rischia una spaccatura insanabile.
Il voto sulle riforme, le tre vicepresidenze: Denis Verdini e i suoi sono entrati in maggioranza?
«Leggo
la smentita di Zanda sul coinvolgimento delle opposizioni, ma quanto
sta accadendo fa riflettere. Per mesi ci è stato detto che la riforma
costituzionale era altro dalla maggioranza di governo. Oggi il minimo è
chiedere se siamo davanti a un cambio di natura e vocazione del Pd. Che è
nato per fare le riforme e non per allearsi con Verdini».
Roberto Speranza chiede un dibattito pubblico in Parlamento, è d’accordo?
«Intanto
mi aspetto parole chiare fin dalla direzione di stasera: dove si vuole
portare il Pd? Se la linea è dare per archiviato lo strappo a sinistra e
la sua sostituzione con pezzi della destra che abbiamo sempre
combattuto nasce un’altra cosa, e non sarebbe più il partito di molti di
noi».
Nascerebbe il partito della nazione. Andreste via?
«L’ho
appena detto, quella linea non è la mia. Al segretario vorrei
consigliare di lasciar perdere i gufi e di non esagerare perché senza
chiarezza è lui che mette a rischio il Pd».
Ieri la maggioranza è andata sotto alla Camera: c’è un problema di tenuta?
«È
passato un emendamento sul reato di omicidio stradale. Succede e
sbaglia la destra a darne una lettura diversa dal merito. I problemi
sono altri».
Renzi fa bene a trasformare il referendum sulle riforme in un voto su se stesso?
«No.
Renzi su alcune cose ha ragione, dai migranti al terrorismo ad alcune
critiche a Bruxelles. Ma sul referendum compie un errore di fondo. Chi
governa deve cercare di unire il Paese, non dividerlo. Soprattutto
quando in gioco sono le regole della democrazia. Con la sua
impostazione, qualunque sia l’esito, avremo un Paese più spaccato».
Lei come voterà?
«Io
mi sono battuto per una riforma diversa, più radicale, ma a comandare
sono altri. L’ho votata solo perché fallire in questo tentativo
produrrebbe una frattura ancora più grave tra i cittadini e le
istituzioni. Tuttavia insisto, è la linea del premier che contraddice
questa premessa mentre saggezza imporrebbe di ridurre le distanze, non
l’opposto. Non amo i plebisciti, temo facciano più danni della grandine.
E tutto questo peserà nella scelta di molti».
Il dibattito sulle
unioni civili sta diventando aspro all’interno dello stesso Pd. I
cattolici dicono di volere una mediazione, ma gli emendamenti cui si
lavora aumentano le distanze. Che ne pensa?
«È un confronto vero
dove è prezioso il rispetto delle posizioni di ciascuno. Il testo
Cirinnà è una mediazione in cui ognuno rinuncia a qualcosa nel nome
dell’interesse comune. Personalmente ero a favore del matrimonio
egualitario, ma adesso quella mediazione la si assuma nella sua
completezza. Compreso il capitolo della stepchild. E questo prima di
tutto come atto di amore e tutela verso i bambini».
Ci sono state
due nomine irrituali in questi giorni: quella di Marco Carrai alla
cybersecurity e del sottosegretario Carlo Calenda come ambasciatore a
Bruxelles. Come le valuta?
«Sulla prima ho l’impressione di uno
scivolone incredibile perché sarebbe di una gravità evidente se una
società privata in capo a un professionista vicino al premier e che
opera in un settore così delicato divenisse un pezzo degli apparati
dello Stato. Sul nuovo ambasciatore a Bruxelles, per quanto irrituale, è
una scelta legittima del governo. Mi auguro si riveli anche
illuminata».