La Stampa TuttoLibri 30.1.16
Nella mente del genio si nasconde un travet
Dalla Austen a Simenon, da Tolstoj a Capote i rituali quotidiani della creatività
di Bruno Ventavoli
Divertente
pensare che Orgoglio e pregiudizio sia nato di nascosto come una
marachella di cui vergognarsi. Jane Austen scriveva nel salotto di
campagna la mattina, dopo aver preparato la colazione per tutti, accanto
alla mamma e alla sorella che ricamavano. Ma non volendo che ospiti o
domestici sospettassero della sua occupazione, vergava le schermaglie di
Lizzy e Darcy su pizzini che poteva nascondere agilmente sotto un
foglio di carta assorbente all’arrivo di qualcuno, per prendere lesta,
anche lei, ago e filo. Quella pudica abitudine è una della tante
inserite da Mason Currey nel suo libretto, Rituali quotidiani, che
racconta le modalità creative di centocinquanta artisti, da Proust a
Murakami, da Darwin alla Abramovic, con una minuziosa messe di dati su
orari di lavoro, routine, idiosincrasie, capricci, paure, tic, manie,
distrazioni, sempre in cerca dell’ispirazione definitiva.
Le
curiosità sono tante. Truman Capote, per esempio, scriveva solo
sdraiato. Fumava abbondante, ma nel posacenere tollerava al massimo tre
mozziconi. Tolstoj si mangiava due uova sode in silenzio, senza degnare i
famigliari d’un saluto, poi si rinchiudeva nel suo studio fino alle
cinque del pomeriggio e creava senza sosta, l’importante era tenersi una
teiera fumante accanto. Stephen King non esce dal suo studio se non ha
prodotto almeno duemila parole. Schulz dedicava ai Peanuts sette ore per
produrre sei strisce al giorno (17897 nel corso d’una vita).
Di
Simenon, uno dei più prolifici autori della storia (425 romanzi) ci si
immaginerebbe un’attività indefessa. Invece il padre di Maigret
alternava periodi produttivi di due-tre settimane ad altri in cui non
appuntava nemmeno una parola. Se era in estro, scriveva la mattina
presto dalle sei e mezza alle nove e mezza (un’ottantina di pagine),
dopo un possente caffè. Era nel sesso che esercitava assai più costanza.
Perché non moriva giorno che non si facesse almeno una donna.
Millantava d’averne possedute diecimila nell’arco dell’esistenza. La
seconda moglie ridimensionò: non sarebbero state più di 1200.
Flaubert,
invece, conduceva vita austera, priva di piaceri, quasi ascetica.
Scriveva di notte, quando la famiglia dormiva. Ricurvo sulla scrivania,
lottava con le parole per distillare la perfezione della semplicità. Gli
ci volevano pagine su pagine prima di arrivare alla frase voluta,
magari una sola, poi si permetteva di crollare esausto nel giaciglio
«stordito, sommerso dal fango di una palude di disperazione, odiando me
stesso e rimproverandomi per questo irragionevole orgoglio che mi fa
dannare dietro una chimera».
Il giovane Goethe era uno stakanov.
Impugnava la penna anche tutto il giorno. Ma col passare del tempo, quel
fervore calò. Durante la stesura del Faust scriveva solo al mattino,
dopo rigeneranti riposi notturni. E se nelle giornate aride, senza
ispirazione, gli veniva fuori una spanna di righe al massimo, si alzava e
faceva altro. Inutile, dannarsi a scrivere la tragedia di un dannato.
Meglio distrarsi, oziare, scialare il tempo nelle trivialità del
quotidiano.
L’obiettivo di Mason Currey, l’autore di questa
colossale e maniacale ricerca, era capire come funziona l’atto creativo.
Serve più dedicarsi anima e corpo a un progetto o affrontarlo a piccole
dosi quotidiane? Le perdite di tempo sono necessarie per superare i
blocchi creativi? I vizi aiutano la mente o la castrano? Meglio vivere
in una stanza bohémienne o accanto a moglie e figli (peraltro rumorosi e
molesti)? Le risposte, alla fine del libretto, non ci sono. Non
potrebbero esserci in un ambito così sdrucciolevole e liquido come
quello dell’estetica. E ingenuo sarebbe aspettarsene, perché la silloge
di Currey è un divertissement, una maniacale catalogazione, senza
ambizioni teoriche. Anzi, può essere letto a singhiozzo come un
delizioso prontuario per sistemare l’incasinato salotto della nostra
fantasia (non a caso è pubblicato dallo stesso editore che ci ha
regalato il
Magico potere del riordino
della Kondo).
Suggerisce però una cosa fondamentale: l’artista tutto sturm und drang è
un mito romantico. Falsissimo e fuorviante. Scrivere, come dipingere o
comporre, richiede bensì genio, ma soprattutto metodo, rigore,
disciplina, costanza quotidiana, orari, impegno fisico, come
l’allenamento per una maratona. Ogni genio, per sbocciare, dev’essere
molto travet.