La Stampa 4.1.16
«Aiuti umanitari e soldati per contare nel mondo»
di L. Sim.
«L’inarrestabile crescita economica cinese in Africa ha spinto Pechino a cambiare la sua strategia di politica estera allineandola a quella occidentale - afferma Christopher Alden, capo dell’Africa International Affairs Programme alla London School of Economics –: agirà sempre di più a fianco delle Nazioni Unite e in cooperazione con l’Unione Africana».
Possiamo quindi considerare chiusa la fase della non-interferenza che ha caratterizzato per anni la politica estera cinese in Africa?
«La decisione di mettere in piedi un avamposto militare è strategica per tutelare i propri interessi nel Golfo di Aden e in Africa Centrale, un’area ancora altamente instabile. Sulla carta Pechino continuerà a osservare una politica di non interferenza, ma in concreto non è più così da tempo».
Al contrario dell’Occidente che taglia sugli aiuti umanitari, la Cina sembra incrementare anche questo capitolo di spesa. Può essere la chiave di svolta per l’affermazione definitiva in Africa?
«Quando si parla di aiuti umanitari bisogna analizzare attentamente che cosa si nasconde dietro questo termine. L’apporto cinese, almeno per il momento, è soprattutto finalizzato a interessi economici personali e non rientra nella categoria vera e propria degli aiuti umanitari».
L’aumento della presenza di lavoratori cinesi può essere una bomba a orologeria nelle relazioni con la popolazione africana?
«È un problema sempre più incalzante sia per gli Stati africani che per Pechino, che sta provando a risolvere la situazione attraverso iniziative di soft power, come la creazione di corsi di lingua e cultura, ma fino adesso i risultati sono stati scarsi. Una mancata integrazione si potrebbe trasformare in un grosso ostacolo per l’espansione della Cina in Africa».