venerdì 29 gennaio 2016

La Stampa 29.1.16
I quartetti di Mozart
Quando anche il genio deve usare la lima
Sandro Cappelletto affronta la complessa struttura compositiva dei brani cameristici
di Vittorio Sabadin

Quella del 15 gennaio del 1785 era una sera molto speciale per Mozart. Nella sua bella casa di Schulerstrasse 846 (oggi Domgasse 5) sarebbero venuti a cena il grande Josef Haydn e altri due amici. Alle 7, l’ora nella quale a Vienna già allora cominciavano i concerti, sarebbero stati eseguiti per la prima volta i primi tre dei sei quartetti che il padrone di casa aveva composto per dedicarli all’amico compositore, l’uomo che amava ed apprezzava di più. Il 12 febbraio, sempre in Schulerstrasse, sarebbero stati eseguiti gli altri tre.
E’ proprio su questa seconda serata che Sandro Cappelletto si sofferma più a lungo, per indagarla e immaginarla, nel suo penetrante saggio I quartetti per archi di Mozart – Alla ricerca di una armonia possibile (ilSaggiatore, pp. 268 €22). Oltre a Wolfgang, erano presenti, la moglie Constanze, il figlio Karl Thomas di 5 mesi, accudito da una domestica, il padre Leopold, Joseph Haydn e i baroni Anton e Bartholomaus von Tinti, discreti musicisti.
Bartholomaus era al violoncello, il suo strumento. Wolfgang e Leopold ai due violini, e Anton alla viola. Haydn si era seduto ad ascoltare, ma poi aveva chiesto di suonare anche lui, prendendo il posto di Leopold o di Wolfgang, che forse avranno sostituito alla viola Anton. Probabilmente, si erano disposti in linea secondo la tradizione viennese, con i due violini alle estremità, il violoncello di fianco al primo violino e la viola al secondo. Forse è stato poco dopo, durante la cena, che Haydn ha pronunciato la famosa frase che Leopold riferisce alla figlia Nannerl in una lettera: «Vi dico davanti a Dio, come uomo d’onore, che vostro figlio è il maggior musicista ch’io conosca di persona o di reputazione. Ha gusto e, ciò che più conta, un grandissimo mestiere compositivo».
Ma niente come quei sei quartetti era costato a Mozart tanta fatica. Siamo abituati a immaginarlo come un compositore al quale Dio aveva affidato la sua grazia, perché la dispensasse agli uomini guidato dall’ispirazione, senza mai macchiare i suoi spariti di una sola correzione. Ma i pentagrammi dei quartetti sono invece pieni di incertezze e pentimenti. Sicuramente, Mozart temeva il confronto con il suo grande maestro al quale aveva dedicato i sei lavori, e ha voluto dimostrare a Haydn di quanta raffinata e cristallina complessità fosse capace.
Ma Cappelletto, nelle pagine iniziali del suo libro, si sofferma a lungo anche sulle origini e sull’essenza del quartetto per archi, una delle più difficili prove nel mondo della musica, sia per chi lo compone che per chi lo esegue, e anche per chi lo ascolta. Nel quartetto tutto è limpido. Non si può barare, non si può nascondere nulla. E’ una conversazione, nella quale gli strumenti si rispondono e si inseguono, dibattono un po’ su un tema e poi cambiano argomento, si raccontano cose tristi o allegre e a volte, quando è più difficile capirli, parlano tutti assieme.
Per questo – sottolinea Cappelletto - la musica del quartetto d’archi va vista, non semplicemente ascoltata. E va vista in una piccola sala, nella quale le brevi distanze consentano di scrutare i gesti e gli sguardi dei musicisti, che sono importanti come quello che suonano.
Dei sei quartetti dedicati ad Haydn con una famosa e divertente lettera in perfetto italiano, corretta probabilmente dal librettista Lorenzo da Ponte («Eccoti dunque, Uom celebre ed Amico mio carissimo, i miei sei figli…»), quello detto delle «Dissonanze» (K465) è da tempo il più indagato da Cappelletto per i tanti misteri, molti dei quali ancora irrisolti, che contiene.
Il rapporto tra l’Adagio dissonante e l’Allegro in do maggiore non è ovviamente un errore di Mozart, ma rappresenta il passaggio dal caos oscuro alla luce, una simbologia cara al pensiero massonico e forse un omaggio allo stesso Haydn, che alla massoneria era stato iniziato proprio la sera prima.
Il racconto di Cappelletto si snoda come sempre con un linguaggio comprensibile e accattivante attraverso i 23 quartetti per archi di Mozart, dal primo composto a 18 anni a Lodi alle 7 di sera del 15 marzo 1770, in una tappa del lungo viaggio in Italia con il padre, agli ultimi tre «prussiani» del 1790, che nascondono anche loro un piccolo mistero. Mozart disse che gli erano stati commissionati dal re di Prussia Federico Guglielmo, ma si trattava probabilmente di una bugia raccontata alla moglie Constanze, per nascondere il totale fallimento del suo viaggio a Berlino.
Il libro descrive l’epoca nella quale i quartetti di Mozart sono nati, l’immane fatica che gli sono costati, le stanze spesso fredde e inospitali delle locande dove sono stati composti, e le difficoltà di farli apprezzare dai critici e dal pubblico del tempo. E quando si arriva all’ultima pagina, come accade solo con i buoni libri di musica, non si vede l’ora di andare ad ascoltare, o a riascoltare, quello di cui si è appena finito di leggere.