La Stampa 28.1.16
La scuola è aperta (ma non troppo)
Settant’anni
dopo, l’articolo 38 della Costituzione non ha esaurito la sua carica
programmatica: molto resta da fare per garantire la piena inclusività
di Tullio De Mauro
«La
scuola è aperta a tutti»: così dice la Costituzione italiana al primo
comma dell’articolo 38 e parla qui con tutta la sua caratteristica
concisione e chiarezza. Negli anni in cui il testo fu concepito, questa
norma non descriveva una realtà, ma fissava e stabiliva un programma.
[...]
Nel 1948 la norma era assai lontana dal sancire una realtà
effettiva. Dal fascismo e dallo Stato monarchico l’Italia democratica e
repubblicana aveva ereditato una scuola in verità ben chiusa. Negli anni
Quaranta e Cinquanta del Novecento il 60% di adulti e adulte era privo
di ogni titolo di studio. Quelli in tale condizione o non erano nemmeno
mai entrati in un’aula scolastica, come poteva accadere ai nati prima
del periodo giolittiano (solo allora cessò il fenomeno dell’elusione
completa della scolarità), oppure erano stati espulsi dalle aule prima
di arrivare alla licenza elementare. Il traguardo di questa licenza, per
quanto da decenni fissato in leggi, con il censimento del 1951 risultò
che era stato raggiunto solo dal 40% di adulte e adulti. Il 30% era
fermo a esso, mentre il 10% si era spinto oltre e l’1% aveva raggiunto
la laurea.
Grandi passi avanti
Vale la pena di aprire una
breve parentesi aritmetica. Sommando tutti gli anni di scuola fatti in
una certa epoca dai singoli individui di un Paese e dividendo la somma
per il numero degli individui si ottiene il numero di anni mediamente
fatti dalle persone a una certa data, ossia si ottiene ciò che si chiama
indice di scolarità di un Paese. Nel 1948 l’indice di scolarità
italiano era di circa tre anni. Questo dato aiuta a capir meglio la
realtà di fatto dell’epoca se lo si mette a confronto con i dati di
altri Paesi. Allora, più esattamente nel 1950, l’indice di scolarità
complessivo dei Paesi sviluppati era di circa sei, sette anni, mentre
l’indice dei Paesi sottosviluppati era di due, massimo tre anni.
L’Italia, perlomeno l’Italia scolastica, apparteneva dunque alla vasta
schiera dei Paesi sottosviluppati. [...]
Sono passati ormai quasi
settant’anni dalla redazione della Costituzione e si può e deve
constatare che la popolazione e le scuole hanno camminato sulla via
della realizzazione di ciò che v’era di programmatico nell’articolo 38. È
stato un cammino faticoso, a strappi, poco o niente progettato dai
gruppi dirigenti, ma piuttosto subìto se non osteggiato. Molto si deve
alla spinta popolare per raggiungere livelli più alti di istruzione e
all’impegno delle famiglie, in molte parti della società e del Paese un
vero oneroso sacrificio.
I senza scuola, gli analfabeti confessi, i
quasi due terzi di adulti e adulte senza licenza elementare e
naturalmente anche gli altri scolasticamente più dotati hanno mandato a
scuola i loro figli e finalmente anche le figlie. E figli e figlie di
decennio in decennio hanno affollato le aule, hanno preso la licenza
elementare, poi, con gli anni Ottanta del Novecento, hanno cominciato a
prendere quasi tutti la licenza media. E con gli anni Duemila i e le
nipoti dei senza scuola si sono spinti oltre, fino a conquistare il
diploma mediosuperiore in percentuali cresciute ormai oltre il 75% delle
classi anagrafiche.
Scolasticamente sviluppati
Il progresso
della scolarizzazione tra le classi giovani ha mutato un po’ alla volta
la fisionomia scolastica della intera società. I non scolarizzati sono
ormai pochi punti percentuali. L’indice di scolarità è cresciuto in
tutto il mondo. Rispetto al 1950 l’indice di scolarità dei Paesi
sottosviluppati è salito da due o tre anni a sei anni, nei Paesi
sviluppati è salito da sei o sette a dodici, tredici anni. In Italia nel
primo decennio del nuovo millennio l’indice di scolarità ha raggiunto i
12 anni. L’Italia ha fatto dunque più di altri Paesi: è uscita dalla
fascia dei Paesi sottosviluppati ed è saltata nel gruppo dei Paesi
scolasticamente sviluppati.
La scuola ha saputo raccogliere la
spinta popolare, ha saputo accogliere figli e nipoti dei senza scuola
cercando di portarli alla conquista di saperi intellettualmente
complessi. Insomma la scuola si è mossa secondo il dettato
costituzionale.
Possiamo dunque dire che ormai l’articolo 38 ha
esaurito la sua carica programmatica e propositiva? Cerchiamo di capire
se ci sono chiusure che occorre rimuovere perché la scuola, come la
Costituzione chiede, sia davvero aperta a tutti e risulti quindi
all’altezza dei compiti e delle richieste che promanano dalla vita e dai
problemi della società di oggi.
Chiusure e disattenzioni
Non
sono poche le strozzature e le gravi disattenzioni che impediscono alla
scuola di essere pienamente, effettivamente aperta anzitutto a tutti i
suoi principali destinatari tradizionali: bambini e bambine,
adolescenti, giovani. Vediamo alcuni casi salienti. (1) I disabili,
nonostante l’impegno encomiabile che il Paese ha avuto rispetto ad altri
europei, non hanno ancora i necessari supporti didattici e edilizi. (2)
Mancano i necessari supporti didattici anche agli alunni di aree di
antica e misconosciuta alloglossia e (3) mancano soprattutto ai figli di
famiglie di origine straniera segnati anch’essi dall’alloglossia
dell’ambiente. (4) Difetta o manca del tutto il tempo pieno
generalizzato che è una necessità sociale nella scuola di base per figli
di famiglie monoparentali o con madri che lavorano ed è una impellente
necessità anche culturale in tutte le aree e fasce sociali depresse per
cattive condizioni economiche o bassi livelli di istruzione di famiglie e
ambiente. (5) Manca nella scuola media superiore, la secondaria di
secondo grado, quel ripensamento radicale di metodi e programmi da gran
tempo inutilmente richiesto: l’impianto, anche edilizio, ma soprattutto
didattico e culturale resta quello della scuola riservata a percentuali
minoritarie di un Paese contadino concepita a inizio Novecento dai
progressisti di allora, avviata a realizzazione da Giovanni Gentile,
variamente manomessa nel periodo fascista, ma mai riorganizzata per
riuscire a salvare la qualità portando le intere coorti anagrafiche al
diploma superiore.
È un obiettivo, quello della unione di massima
inclusività degli allievi e massima qualità delle loro competenze, che
altri Paesi raggiungono con successo, dal Giappone alla Corea e alla
Finlandia: richiede solo investimenti e attenzione alla qualità degli
insegnamenti. Purtroppo la scuola media superiore italiana soffre di
un’ancora alta percentuale di abbandoni e di un livello penosamente
basso delle competenze dei diplomati italiani messi a confronto con i
coetanei degli altri Paesi e perfino con le competenze dei fratelli
minori, i licenziati della media inferiore: i cinque anni di superiore
girano a vuoto. Quella della media superiore per una gran parte dei
giovani (si può stimare almeno la metà) è una falsa apertura. Occorre
ripensarla radicalmente se si vuole rispettare nella sostanza la
Costituzione.
Un sistema chiuso
A tutti i livelli
scolastici, ma specialmente nelle superiori e nell’università, nei
mediocri livelli di alunni che vengono da famiglie con bassi livelli di
istruzione e di cultura si tocca con mano il prezzo che ha la mancanza
di una seria organizzazione dell’istruzione degli adulti, che sottragga
il più possibile la popolazione adulta a quella lontananza dal tenersi
attivi intellettualmente registrata da indagini nazionali e da tre
recenti indagini comparative internazionali. Sette adulti italiani su
dieci sono sotto i livelli minimi di comprensione di testi scritti e di
uso di nozioni matematiche e scientifiche elementari. Una iattura per la
scuola e per l’intera vita sociale. Una iattura anche per l’efficienza
della produzione e, quando ci sono, degli stessi investimenti
produttivi, come qualche governante ha mostrato di ignorare e come
invece diversi economisti hanno spiegato a partire dagli anni Novanta.
[...]
L’istruzione degli adulti, se si svilupperà, potrà portare a
vincere un’altra strozzatura, un’altra mancata apertura. A tutti i
livelli, ma specie al livello mediosuperiore, la scuola, intesa anche
come edificio scolastico, soffre di scarsi o assenti rapporti con il
territorio circostante, il Paese, il quartiere, la loro gente.
Esperienze internazionali nelle Americhe, da New York alla Colombia, e
nei Paesi sottosviluppati, ma anche esperienze dei maestri di strada a
Napoli, dicono quanto è importante per la scuola, per i risultati
misurabili del suo impegno, che la scuola si apra e diventi
un’accessibile, attraente e frequentata «fabbrica della cultura» per
tutti, ragazze e ragazzi, le loro famiglie, la popolazione intorno. Non
un corpo estraneo, ma una realtà propria, amica, aperta come ancora
chiede la Costituzione.