La Stampa 22.1.16
Cattolici, minoranza Pd e Ue mettono nel mirino Renzi
E crescono i no al referendum
Il
governo - in rispetto della Pasqua ebraica - è orientato ad anticipare
la data al 15 maggio, con ballottaggio il 29, cancellando così l’ipotesi
del 12 giugno
Due settimane in meno per una rimonta Pd a Roma
Un sondaggio in controtendenza preoccupa il primo ministro
di Fabio Martini
Per
ora è soltanto un passaparola, ma è così spiazzante che presto potrebbe
diventare un grattacapo per Matteo Renzi: a partire da novembre uno dei
più seri istituti di sondaggio sta monitorando (per ora riservatamente)
l’opinione degli italiani sulle riforme istituzionali e le rilevazioni
stanno dando risultati inattesi: a novembre il 40 per cento non
rispondeva, mentre il grosso degli interpellati si divideva tra un 33
per cento favorevole e un 22 contrario. Due mesi dopo il rapporto si è
invertito: 31 per cento contrario e 22 favorevole, secondo una
rilevazione compiuta 24 ore prima l’approvazione del dll Boschi da parte
del Senato. Si sta forse diffondendo la consapevolezza che il
referendum, ancor prima che sul merito della riforma, riguarderà il
futuro politico di Matteo Renzi?
Certo, il presidente del
Consiglio ha deciso lui stesso di puntare il tutto per tutto sul
referendum e dunque le future oscillazioni nelle intenzioni di voto
degli italiani saranno il suo principale assillo nei prossimi mesi. Che
si preannunciano pieni di opportunità, di incognite e anche di
appuntamenti da onorare. A cominciare dalle elezioni amministrative. A
questo riguardo, da palazzo Chigi, trapela una indiscrezione secondo la
quale il governo - in rispetto della Pasqua ebraica - è orientato ad
anticipare la data al 15 maggio, con ballottaggio il 29, cancellando
così l’ipotesi del 12 giugno, inizialmente immaginata da Renzi come
ideale per completare la “rimonta” nelle realtà più ostiche, Roma tra
tutte. Nelle ultime 48 ore il presidente del Consiglio è ripartito con
una delle sue proverbiali controffensive, dalle norme anti-fannulloni
all’ ambasciatore “politico” a Bruxelles. Una controffensiva che Renzi
si è imposto davanti ad un accerchiamento che nelle ultime due settimane
si è intensificato.
Si risveglia la minoranza Pd
Dopo mesi
di silenzio, ieri pomeriggio la minoranza dem ha rialzato la testa, dopo
l’elezione di tre senatori, amici di Denis Verdini, in altrettante
vicepresidenze di Commissioni al Senato. Roberto Speranza, uno dei
capofila della sinistra ha chiesto a Renzi si chiarire «se esista una
nuova maggioranza politica che sostiene il governo». La risposta
negativa del presidente del Consiglio non è destinata a smontare
l’offensiva della minoranza, destinata ad uscire allo scoperto oggi nel
corso di una riunione della Direzione Pd, fissata da tempo e che
sembrava priva di qualsiasi interesse.
Si ingrossa la piazza cattolica
Renzi
ha già chiesto che in Direzione non si parli di Unioni civili, ma il
giorno delle decisioni irrevocabili si avvicina (nei primi giorni di
febbraio l’aula del Senato è chiamata a votare) e in vista di quel
momento due dati aumentano la pressione cattolica sul governo. La prima
riguarda la decisione degli organizzatori del Famiily day (30 gennaio)
di trasferirsi da piazza San Giovanni al Circo Massimo, dove è
consentita una maggior capienza. La seconda è un’indiscrezione: gli
organizzatori ora hanno la certezza che la grande maggioranza dei
vescovi condivide la manifestazione.
Bruxelles e Berlino
Negli
ultimi due giorni si è allentata la pressione di Bruxelles e Berlino
sull’Italia ma i riflettori restano accesi. Subito dopo l’attacco
plateale del presidente della Commission europea Jean-Claude Juncker a
Renzi, nessun capo di governo europeo ha pronunciato mezza parola in
difesa del presidente del Consiglio italiano. Men che mai Francois
Hollande, a conferma di quanto ripetono gli sherpa francesi: all’Eliseo
non hanno dimenticato la dissociazione di Renzi dai bombardamenti
francesi in Siria, nei giorni che seguirono l’attacco Isis a Parigi. Ma
l’”insubordinazione” che meno è piaciuta a Berlino (e a cascata a
Bruxelles) è rappresentata dall’annuncio di Renzi di rimettere in
discussione l’accordo tra i 28 capi di Stato e di governo che assegnava 3
miliardi comunitari alla Turchia. Dice Manfred Weber, bavarese,
capogruppo Ppe all’Europarlamento: «Al Consiglio europeo Renzi c’era, ha
approvato la decisione e ora se non tiene fede a quella decisione.
rischia di perdere credibilità».