giovedì 21 gennaio 2016

La Stampa 21.1.16
Per il ddl Boschi 180 sì, 112 no. Decisivi i sì dei verdiniani.
Renzi lancia il referendum: “Dirà con chi stanno gli italiani”
La solennità del momento rotta dalle continue irrisioni da parte dell’Aula
di Fabio Martini

Nell’aula di palazzo Madama, foderata come da decenni di velluto rosso e mogano chiaro, mancano pochi minuti al momento «storico», quello nel quale i senatori voteranno per la propria cancellazione e dunque il presidente del Consiglio sta intervenendo per provare a conferire solennità al passaggio. Dice Matteo Renzi, per una volta attingendo da appunti scritti: «La decisione di oggi non ha eguali nella storia delle istituzioni europee», «questo è il giorno che non doveva arrivare mai, questo è il giorno in cui nessuno credeva», «se il Senato è capace di superare se stesso significa che niente è impossibile per l’Italia», «la storia si occuperà di voi», «dopo anni di subalternità, la politica ha ripreso il primo posto». Il messaggio all’opinione pubblica, il lancio della campagna referendaria: «Sono gli italiani che chiameremo ai seggi, andremo casa per casa» e «sarà interessante vedere le facce gaudenti di oggi dopo il referendum, quando i cittadini con la riforma avranno detto da che parte stanno».
Ma il tono «alto» di Renzi - oramai replicato quasi ogni ora da due anni e su qualsiasi argomento - proprio nel giorno in cui era giustificato, non ha retto l’impatto con l’aula e anzi le continue ed irridenti interruzioni al presidente del Consiglio raccontano un fenomeno nuovo, finora mai sperimentato, una certa caduta nel carisma parlamentare del capo del governo. Come dimostra la sequenza che precede il voto finale. Dice il presidente del Consiglio: «Andiamo a vedere da che parte sta il popolo!» e il senatore Airola, dei Cinque Stelle: «Dai, non urlare». Ancora Renzi: «Nel caso in cui perdessi il referendum, considererei conclusa la mia esperienza politica!». Il senatore Nugnes: «Bravo, bravo!», con risate tra i banchi grillini e leghisti. Ancora Renzi: «Il mondo scout dice: Pongo onore nel meritare fiducia». Crimi: «Ti prego, dai!».
Alla fine del suo intervento Matteo Renzi viene salutato da un caldo e prolungato battimani che dura 30 secondi e a conclusione del dibattito, le previsioni della vigilia sono confermate: il ddl di riforma costituzionale è approvato dai senatori con 180 sì, 112 no e dunque con ben 19 voti sopra il quorum obbligatorio, fissato a quota 161. Se i sì, per quanto maggioritari, fossero restati sotto questo tetto, la riforma sarebbe stata bocciata. Ma la vigilia era trascorsa senza alcun pathos: oramai ai 158 senatori del Pd, dell’Area popolare (Ncd-Udc) e socialisti, Svp da tempo si aggiungono puntualmente, e anche stavolta, i senatori di Denis Verdini e di altri gruppetti a suo tempo eletti nel centrodestra, che nel loro complesso sono risultati determinanti. Senza i «transfughi», la storia riforma non sarebbe passata.
Ma di là della contabilità, l’indubitabile portata storica della votazione si è accompagnata ad una precisa volontà di Renzi, quella di lanciare la campagna referendaria. Con un approccio che è stato definito plebiscitario, perché in Costituzione è prevista la possibilità di ricorrere ad un referendum confermativo, ma con lo spirito di concedere questa opportunità a chi è contrario alle innovazioni costituzionali. Renzi invece lo «promuove» lui il referendum. «Chiameremo al voto gli italiani: questa è considerata una minaccia da chi non ha esperienza di voti popolare». E ancora: «Come è possibile andare al referendum sulla madre di tutte le riforme e non trarne le conseguenze?». E poi, in un crescendo di compiacimento: «Ci hanno dato dei dilettanti ma a me piace ricordare che i dilettanti hanno fatto l’arca di Noè mentre i professionisti hanno fatto il Titanic». E poi a voto concluso, il tocco di enfasi finale:  «Oggi è il giorno in cui ciò che sembrava impossibile diventa possibile».