La Stampa 20.1.16
Cina, il Pil peggiore da 25 anni tira il freno sulla crescita mondiale
L’Fmi taglia le stime: timori per mini-petrolio e frenata dei Brics
di Francesco Semprini
Il
Dragone segna l’anno più lento dell’ultimo quarto di secolo in termini
di crescita confermando le sfide che l’economia globale deve affrontare
per il 2016. Le stesse descritte dal Fondo monetario internazionale
nella revisione del World Economic Outlook, secondo cui la crescita
globale potrebbe «deragliare». È il quarto trimestre del 2015 a
certificare la peggiore performance del Pil cinese degli ultimi 25 anni,
con un rialzo del 6,8% che porta la media annuale a +6,9 per cento. Si
tratta del minimo dal 1990 quando il Dragone crebbe di «appena» il 3,8% a
causa delle sanzioni inflitte a Pechino dopo la repressione a piazza
Tiananmen. Hanno pesato i cali degli investimenti e la contrazione
dell’export. La crescita cinese è in costante flessione da circa cinque
anni, e sono stati sinora poco efficaci gli sforzi della dirigenza del
Partito comunista volti a ribilanciare il Paese su un modello basato più
sui consumi interni. Il resto lo hanno fatto le Borse di Shanghai e
Shenzhen.
Contraccolpi mondiali
La Cina preoccupa, insomma, e
lo dice anche l’Fmi che rivede al ribasso le stime di crescita di tutto
il mondo con l’eccezione dell’Europa. Il Pil mondiale è visto a +3,4%
nel 2016, -0,2% rispetto a ottobre, e al +3,6% nel 2017, con un
rallentamento sempre dello 0,2% rispetto al Weo dell’autunno. «I rischi
restano al ribasso», afferma l’istituzione di Washington, che punta
l’indice verso tre fattori essenziali: il rallentamento della Cina, i
prezzi più bassi delle materie prime - greggio in primis - e l’uscita
dalle misure monetarie non convenzionali negli Usa.
A proposito
del Dragone, il rallentamento è destinato ad essere maggiore, con una
crescita confermata al 6,3% nel 2016 e al 6% nel 2017. Tra i Brics, va
male la Russia che si contrarrà quest’anno più del previsto, con il Pil
in calo dell’1%, per tornare a crescere nel 2017. Il rallentamento degli
Emergenti ha effetti anche sugli Usa: le previsioni vengono ridotte di
nuovo al 2,6% nel 2016, -0,2% da ottobre, e del 2,6% nel 2017, anche qui
-0,2%. Gli Usa devono inoltre fare i conti con un deficit più alto
delle attese: secondo le stime del Congressional Budget Office, nel 2016
il disavanzo si attesterà su 544 miliardi di dollari quest’anno, più
dei 414 miliardi di dollari stimati in agosto.
Meglio l’Europa
Andamento
opposto per l’Europa che si giova della politica accomodante della Bce
di Mario Draghi, e per la quale è prevista nel 2016 una crescita
dell’1,7%, +0,1% rispetto a ottobre, con un’accelerazione di Germania e
Spagna e un rallentamento della Francia.
Dal rapporto emerge
quindi che Cina ed Emergenti, assieme a «mini-barile» e cambio della
politica monetaria della Fed, sono i fattori che, se non saranno gestiti
nella giusta maniera, potranno accelerare le derive al ribasso,
aumentare la volatilità col rischio di far «deragliare» la crescita
complessiva. Mentre emerge l’immagine di un’Europa che torna ad essere
un «rifugio».
Quasi indifferenti ai dati di ieri i mercati
finanziari, forti del fatto di aver già scontato la generale
decelerazione, mentre il Fmi invita alla calma. «Trovo interessante che
il capo economista del Fmi, Maurice Obstfeld, abbia detto che la
reazione dei mercati è eccessiva - spiega Alessandro Leipold, ex
direttore del Fondo per la divisione europea e attuale capo economista
di Lisbon Council -. È raro che si pronunci sull’andamento dei mercati
finanziari, sembrerebbe esservi un tentativo di calmare gli spiriti».