La Stampa 19.1.16
Unioni civili, il Pd diviso
tenta l’ultima mediazione
Sulle adozioni nessun no del Colle, ma c’è un rischio Consulta
di C. Bertini - U.Magri
Limature.
Ritocchi. Piccoli aggiustamenti. Si sta lavorando di fino dentro il Pd,
con l’aiuto di giuristi prestati dal ministero della Giustizia, per
l’ultima stesura della legge sulle unioni civili. Venerdì in Senato
scade il termine per gli emendamenti, il voto in aula è previsto per il 2
febbraio. Dentro la «bicameralina» Pd, composta da 5 deputati e
altrettanti senatori, si tenta ancora l’ultima mediazione capace di
mettere d’accordo tanto i catto-dem, che al Senato sono quasi una
trentina, quanto i laici dentro e fuori il partito. Si ipotizza un
intervento più approfondito da parte dei magistrati, che prima di
concedere l’adozione al partner del genitore naturale dovrebbero
valutare come sono andate le cose nei due anni precedenti. «Introdurre
un periodo di monitoraggio della situazione familiare può essere il
punto d’incontro dentro il Pd e tra tutte le forze che sostengono la
legge», sostiene Walter Verini, tra le «colombe» forse il più attivo.
C’è chi immagina addirittura un biennio di affido formale alla coppia
unita civilmente, quale premessa necessaria all’adozione vera e propria.
Ma chi guida il gruppo al Senato considera questa strada molto poco
percorribile. Perché creerebbe disparità tra chi viene adottato da gay
piuttosto che da coppie etero.
Cosicché, alla vigilia
dell’assemblea di stamane tra i senatori Pd, le sole certezze sono due.
Anzitutto, per venire incontro alle riserve cattoliche destinate a
crescere in vista del Family Day (30 gennaio), verrà rafforzata la
normativa contro l’«utero in affitto» contenuta già nella legge 40 sulla
fecondazione assistita. Inoltre, si procederà alla quinta e definitiva
ripulitura del testo, da cui verranno espunti i tanti e forse troppi
rinvii al codice civile, là dove regola i matrimoni. L’obiettivo di
queste «grandi pulizie» è facilmente intuibile: si vuole distinguere il
più possibile l’istituto matrimoniale da quello delle unioni civili in
ossequio alla sentenza emanata dalla Consulta nel 2010. Dove si chiedeva
al Parlamento di legiferare, ma nel contempo si segnalava che, per i
padri costituenti, il matrimonio andava contratto soltanto tra persone
di sesso diverso. A richiamare l’attenzione sulla sentenza della Corte
risulta sia stato, in forma riservata, lo stesso Presidente della
Repubblica. Spetterà infatti a Mattarella, una volta approvata la legge,
valutarne a occhio nudo la corrispondenza con il dettato della
Costituzione. Il Capo dello Stato non potrebbe promulgare la Cirinnà se
fosse in contrasto con i paletti piantati dalla Consulta.
Quanto
alla «stepchild adoption», mancano sentenze della Corte cui fare diretto
riferimento. Dunque chi frequenta il Colle non prevede obiezioni. Se il
Parlamento vorrà proseguire lungo quella strada, non sarà Mattarella a
impedirlo. Ma nessuno può escludere che un domani la Consulta possa
contestare questa o quella formulazione. È un rischio che pende intero
sul capo del legislatore.