venerdì 15 gennaio 2016

La Stampa 15.1.16
Pechino va in Medio Oriente con la nuova “Via della Seta”
Xi Jinping si fa spazio al tavolo della diplomazia come “mediatore” di pace Missione in Egitto, Iran e Arabia Saudita: infrastrutture in cambio di petrolio
di Cecilia Attanasio Ghezzi

Egitto, Arabia Saudita, Iran. La Via della Seta diplomatica di Xi Jinping punta dritto al cuore delle zone più calde del mondo. Prima tappa di due giorni mercoledì prossimo al Cairo. Poi sarà la volta di Teheran - l’agenzia di stampa della Repubblica islamica ha comunicato che «il Presidente cinese visiterà il Paese prima della fine del mese» - e infine Riad.
Sono questi i Paesi che il Presidente cinese visiterà nel suo primo viaggio di Stato del 2016. Un segnale forte che conferma la volontà di Pechino di accreditarsi al tavolo dei grandi della diplomazia mondiale.
I rapporti tra Teheran e Riad hanno raggiunto il punto di tensione più alta dell’ultimo decennio e Xi Jinping dovrà districarsi in un delicato gioco di diplomazia internazionale. Fino ad appena un anno fa la Cina si era mossa come se i conflitti nella regione non la riguardassero direttamente. Portava avanti i rapporti con i singoli Stati secondo il principio del «non intervento». Oggi deve convincerli che le divisioni non giovano agli affari.
Il libro bianco
Non è un caso che mentre si aspetta ancora l’ufficializzazione delle date da parte cinese, sia uscito il «China’s Arab Policy Paper», il primo tentativo di mettere nero su bianco le strategie di sviluppo che la Repubblica popolare intende perseguire nel «mondo arabo».
Nel «libro bianco» governativo si parte dal presupposto che i Paesi arabi, considerati per la prima volta nel loro insieme e mai nominati singolarmente, sono ormai il primo fornitore di petrolio e il settimo partner commerciale della Cina.
Poi si definisce la struttura «1+2+3»: «Il cuore è la cooperazione energetica, le due ali sono la costruzione di infrastrutture e le agevolazioni di mercato e di investimenti e le tre punte le eccellenze tecnologiche che si vogliono raggiungere nei settori del nucleare, dei satelliti e dell’energia pulita».
Sete di energia
Non è un mistero che le ambizioni della Cina si siano spostate a Occidente. Gli Stati del non meglio specificato «mondo arabo» sono strategici per appagare la crescente sete di energia del gigante asiatico e per il progetto della nuova via della seta terrestre e marittima.
Con la solita strategia a zero rischi, la Repubblica popolare mette in campo gli investimenti per migliorare le infrastrutture locali in cambio di materie prime. E in questa parte di mondo gli affari si fanno soprattutto in funzione del petrolio.
Passaggio di testimone
A metà del 2015, la Repubblica popolare ha superato gli Stati Uniti e, con 7,4 milioni di barili al giorno, è diventato il più grande importatore di oro nero al mondo. L’Arabia Saudita è il suo primo fornitore, seguito dall’Iran dove, da quando sono state ridotte le sanzioni, la Cina ha raddoppiato gli investimenti negli impianti estrattivi arrivando a quota 52 miliardi di dollari. E più gli Stati Uniti dimostrano di volersi affrancare dal greggio proveniente dai Paesi arabi, più i rapporti tra questi ultimi e le aziende di Stato cinesi si stringono. Il petrolio dunque è tra i primi motivi per cui la Cina vorrebbe pacificare l’area ritagliandosi un ruolo di primo piano. Ma non è l’unico.
Sono molti gli analisti cinesi che ritengono che la nuova Via della seta sarà la risposta vincente al problema della pace in Medio Oriente. La ricercatrice Feng Chaoling ha notato come, già dal 2014, 77 dei 118 accordi bilaterali di libero scambio firmati dalla Cina erano con Paesi localizzati sull’antico percorso. Inoltre, il fondo di 40 miliardi di dollari per le infrastrutture e i 100 miliardi della Banca asiatica per gli investimenti e le infrastrutture a guida cinese fanno gola a molti. Durante una visita ufficiale in Palestina, l’inviato speciale per il medio oriente Gong Xiaosheng ha affermato che uno degli scopi della nuova Via della seta è proprio quello di essere un catalizzatore di investimenti che promuovano lo sviluppo economico e, dunque, la pace. Un coinvolgimento complessivo dei Paesi del Medio Oriente al progetto faciliterebbe senza dubbio il raggiungimento di questo obiettivo.
Il modello è proprio quello che la Cina ha sperimentato su se stessa negli ultimi trent’anni. Finché l’economia gira, c’è lavoro e una speranza concreta di ascesa sociale, i cittadini hanno tutto l’interesse a convivere in modo armonico.