Il Sole Domenica 10.1.16
Georg Jjellinek
L’individuo e la difesa delle minoranze
di Gaetano Pecora
C’è
poco da fare. Basta solo citarlo, ed ecco che dietro il nome di Georg
Jellinek guizza l’ombra dei grossi volumi dove alla fine dell’Ottocento
egli raccolse i frutti della sua scienza giuridica. Primo tra tutti
quello che egli spiccava dal fusto della sovranità dove i diritti
fondamentali derivavano, sì, dallo Stato che però non poteva disporne a
capriccio perché limitato ab extra da quella aerea, impalpabile eppure
efficacissima cosa che è l’opinione pubblica. Ecco: l’opinione pubblica.
Per questo, è soprattutto per questo, insegnava Jellinek, che negli
Stati di libertà i g overnanti si trattengono sulla china precipite
della sopraffazione: per non sfidare l’orientamento generale degli
spiriti.
Guai perciò quando le norme sui diritti non s’intonano
con gli stili di vita che ascendono dalle profondità oscure e limacciose
di una comune tradizione. Guai: un tornado di scontento spazzerebbe via
tutto quanto, a cominciare proprio da coloro che tra i fumi del potere
non si danno pensiero di sintonizzarsi con «il limite fissato dallo
sviluppo storico». La teoria dell’«auto-limitazione» statale è tutta
qui. Piace? Spiace? Non sappiamo. E per la verità neppure ci interessa
saperlo perché il discorso corre ora ad altro fine. Che è quello di
ricordare come a furia di scrutarla di faccia e di scorcio, a forza di
infilzarla coi pro e coi contra, proprio questa teoria ha catturato per
sé ogni attenzione, tenendola discosta così dagli scritti di altra
natura che pure costellano il magistero di Jellinek, ma che paiono come
rinsecchiti dall’oscurità in cui li ha profondati la comune
dimenticanza. Paiono, però. Paiono soltanto rinsecchiti, perché a trarli
dall’ombra essi sfavillano di una luce inattesa su cui l’occhio si posa
ammirato proprio come per una festa di molteplici colori. Brava perciò
Sara Lagi a proporne alcuni, mai prima tradotti in italiano, che coprono
un’ampia, capace distesa di interessi la quale, se da un lato
testimonia la multiforme sensibilità di Jellinek, dall’altro però non
autorizza a pensarlo come un autore centrifugo, disancorato, dove i
concetti divagano come raggi non più attratti dal loro centro.
Il
centro c’è. Eccome se c’è! Quale che fosse il punto di luce (filosofico,
letterario o poetico) esso cadeva sempre a perpendicolo sull’individuo,
sull’individuo singolo, sull’individuo che nella sua intrasferibile
originalità dice “no, non ci sto” con i gusti e le opinioni dominanti e
rivendica il diritto di seguire la sua strada, che per essere proprio la
sua è perciò stesso anche la sola vera. «Nelle migliori nature – scrive
Jellinek – si muove sempre qualcosa… che potrebbe essere definito come
un ostinato sentimento di minoranza».
E proprio alle minoranze
Jellinek dedica il saggio di maggior succo di questa raccolta, quello
più schiettamente politico, e lo fa con un fremito di intima
preoccupazione che veramente cattura l’attenzione del lettore. E a
ragione, bisogna dire: perché se è vero, come si diceva all’inizio, che
in ultima istanza è l’opinione pubblica a decidere dei diritti
individuali, è pure vero che nelle moderne democrazie proprio
quest’opinione si mostra ognora più dura con lo sviluppo dei singoli. Si
dà il caso infatti che la principale caratteristica della democrazia
sia l’eguaglianza delle condizioni. Ora, uomini simili per diritti,
ricchezze e istruzioni, è giocoforza che nutrano una istintiva
diffidenza per il giudizio dei loro simili. Il prossimo – pensa ciascuno
di loro – non è né peggiore né migliore di me: non ha senso perciò
sacrificare la mia intelligenza a quella altrui. Tutto questo,
beninteso, finché i singoli considerano ad uno ad uno i loro
concittadini. Quando però si pongono al cospetto dell’insieme della
cittadinanza, avvertono di colpo la loro piccolezza e abdicano d’un
subito alla loro individualità.
Tocqueville (con il quale Jellinek
aveva grande dimestichezza) lo aveva intuito con intelligenza presaga:
«A mano a mano che gli uomini si assomigliano di più, ciascuno si sente
sempre più debole in confronto a tutti». Ed ecco perché nelle società
democratiche sarà sempre «più difficile credere a quello che la massa
respinge». Parole, queste, dalle lunghe risonanze che si propagano in
circolo fino a raggiungere Jellinek quando Jellinek, con parole dove si
sente l’affanno della propria passione, scrive che «niente al mondo può
essere più crudele… quanto una maggioranza democratica». Poi aggiungeva:
«Solo un uomo lontano dalla realtà può fantasticare sulla favola delle
masse che amano il Bello e il Vero». Quale rabdomantica precisione! E
pensare che ancora non s’era inaugurato il secolo breve…
Georg Jellinek, «Il Tutto» e «L’Individuo», a cura di Sara Lagi, Rubbettino, Soveria-Mannelli,
pagg. 218, € 16,00