Il Sole Domenica 10.1.16
A un anno dalla strage
Ma Charlie è blasfemo?
di Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani
Il
volume Blasfemia, diritti e libertà. Una discussione dopo le stragi di
Parigi, a cura di Alberto Melloni verrà presentato domani nella Sala
Zuccari del Senato. Ne parleranno assieme a Melloni, la giurista Barbara
Randazzo, la pastora Lidia Maggi e Guido Vitale direttore di Pagine
Ebraiche.
Un anno dopo la strage, la copertina di
Charlie Hebdo mostra l’immagine del carnefice: è Dio con il mitra in
spalla, che ancora fugge con l’abito insanguinato. Questa è un’immagine
blasfema? E, se blasfema, è illecita? Sicuramente aiuta ad avere gli
strumenti per deciderlo un bel libro curato da Alberto Melloni,
Francesca Cadeddu e Federica Meloni, Blasfemia, diritti e libertà,
fresco di stampa per il Mulino. È un confronto tra storici, teologi,
filosofi e giuristi sul tema della parola che offende il sacro: si va
dall’evoluzione del concetto di blasfemia, al racconto di episodi di
vilipendi storici - con qualche esempio in forma di immagine - e di
persecuzioni, fino al tentativo di definire i limiti dell’intervento
statale nella punizione. Il volume mantiene quel che Melloni promette
nell’introduzione, ovvero «fornire […]conoscenze giuridiche, politiche,
storiche e teologiche che servano a comprendere e giudicare fatti, atti,
ragioni, sfondi - incluso quello ambivalente della “blasfemia”».
Dai
saggi non emerge una risposta univoca, anzi le posizioni sono diverse e
a volte in contrasto tra loro. Ciò non ci pare discendere soltanto
dalle credenze personali ma anche dalle differenti prospettive delle
scienze di cui gli autori sono esponenti. Gli studiosi della società -
antica o contemporanea - hanno un’ottica che consente di affermare
l’inopportunità e financo la pericolosità di alcune espressioni
oltraggiose, specie in alcuni passaggi storici o in contesti
culturalmente non omogenei, con diversi gradi di tolleranza
all’irrisione. Il giurista, invece, lo evidenzia bene Giancarlo Bosetti,
sembra avere una via maestra: quella di riconoscere che il diritto a
non essere offesi nei propri sentimenti religiosi debba passare
attraverso una porta stretta. Il poco spazio che gli ordinamenti
liberali possono riservare ai reati a presidio delle fedi deriva dalla
constatazione che le religioni sono anche dei poteri che condizionano la
vita pubblica. E come ogni altro potere, esse meritano, con le parole
di Rushdie citate da Mauro Gatti, «le critiche, la satira e tutta la
nostra impavida irriverenza».
Del resto, in una società laica, le
convinzioni religiose non hanno maggiore dignità e valore rispetto a
quelle filosofiche, politiche o di altro genere. E quindi, come nessuno
può invocare la forza dello Stato per offese a una propria qualunque
ideologia, analogamente, in una società davvero aperta, i fedeli non
hanno strumenti giuridici per opporsi alla critica, anche feroce o
irrisoria, alle religioni, soprattutto quando queste non si curano solo
d’anime.
A conferma di ciò, non è certo un caso che in Europa
negli ultimi decenni le leggi che puniscono la blasfemia siano sempre
meno e sempre meno applicate. E pure negli Stati Uniti, ove nel Primo
Emendamento sono incise una accanto all’altra la neutralità nei
confronti delle religioni e la libertà di parola, già negli anni ’50 la
Corte Suprema ha stabilito che «lo Stato non ha alcun legittimo
interesse a proteggere una qualsiasi religione, o tutte le religioni da
espressioni a loro sgradite», come ricorda ancora Gatti.
La
violenza contro Charlie ha mutato il clima e ha fatto sostenere a
taluno, forse per un principio di prudenza, che vietare l’offesa alla
religione fosse una buona soluzione. Al contrario, grazie anche alla
lettura del libro, a noi piace ancora un legislatore che rinuncia a
usare lo strumento penale contro il blasfemo, invece di cercargli
«l’anima a forza di botte», come nella Spoon River di De Andrè.