venerdì 8 gennaio 2016

Il Sole 8.1.16
Parigi
Quell’odio verso lo Stato da curare alla radice
di Marco Moussanet


«Ero seduto nel dehors di un caffè e ho visto tutta la scena. L’uomo non era armato e non ha gridato ’Allah Akbar’». La testimonianza, che contraddice la ricostruzione ufficiale di quanto è avvenuto ieri mattina davanti al commissariato della Goutte d’Or, viene raccolta in tarda mattinata dal giornalista di una tv d’informazione. Una donna si avvicina e dice: «Aveva le mani alzate ma i poliziotti gli hanno sparato lo stesso».
Di testimoni, veri o finti, disposti a smentire la versione della polizia e della Procura, nel quartiere più maghrebino e più musulmano di Parigi se ne possono probabilmente trovare a decine, a centinaia.
Che dalle parti di Barbès – dove nel 1991 l’allora presidente Jacques Chirac pronunciò la tristemente famosa frase sul «rumore e l’odore» diventata una hit del rap antisistema – i poliziotti non siano proprio amati è d’altronde un eufemismo. E lo stesso vale per lo Stato e le istituzioni in genere. Di cui i poliziotti, non esenti da colpe, sono l’espressione ultima sul territorio.
Quando i politici si riempiono la bocca con le frasi solenni sull’unità nazionale, sulla compattezza del Paese di fronte al terrorismo e all’estremismo islamico dovrebbero fare un giro da queste parti. O nelle periferie dove i vari Kouachi e Coulibaly sono degli eroi. Anche questo è il “nemico in casa”, non solo i fanatici che passano all’azione. E bisogna tenerne conto. Bisogna conoscere, approfondire. Capire da dove viene tutta questa diffidenza, questa ostilità, questo pregiudizio. Che si possono rapidamente trasformare in odio e violenza. Com’è accaduto dieci anni fa con la rivolta delle banlieues. Altrimenti, oggi come allora, si combattono i sintomi senza curare la malattia.
Ancora una volta è il marziano della politica francese, il ministro dell’Economia Emmanuel Macron, a mettere il dito nella piaga: «Dobbiamo renderci conto, davvero e seriamente, che c’è un malessere profondo all’interno della nostra società. La nostra responsabilità è certo quella di proteggere e punire, ma anche di guardare questa realtà in faccia e farcene carico. C’è una perdita di punti di riferimento da parte di persone che non hanno alcuna prospettiva familiare, professionale, sociale. Ci sono ovviamente responsabilità individuali, ma anche collettive. Si parla tanto di unità nazionale, ma a cosa serve se non c’è la volontà, la capacità di dare una opportunità a chi è fuori dal sistema e si chiude in se stesso?». Oppure trova una speranza nelle deliranti preghiere di imam diventati reclutatori e istigatori per conto terzi.
Presidente e Governo francesi dovrebbero ascoltare quelle testimonianze, evitando di liquidarle come parole in libertà di qualche provocatore. Dovrebbero recepire quanto arriva dalle antenne delle associazioni che lavorano nei ghetti e nei quartieri più difficili. Dovrebbero riflettere sulle parole di uno dei loro, com’è Macron. Altrimenti le nuove misure di sicurezza che stanno per essere varate, istituzionalizzando lo stato di emergenza, rischiano di aggravare una frattura - sociale, culturale, economica – sempre più evidente.