Il Sole 30.1.16
l’italia che verrà / 1
Il rischio «suicidio demografico»
Nel 2015 le nascite per la prima volta dopo il 1918 sotto le 500mila unità
di Mariano Maugeri
Culle
vuote e cimiteri pieni. La curva demografica del 2015 ci lascia una
bruttissima eredità. Le nascite, per la prima volta dopo il 1918, (annus
horribilis per un’intera generazione rimasta sui campi di battaglia
della prima guerra mondiale; chi sopravvisse dovette poi fare i conti
con la micidiale epidemia d’influenza, la spagnola, che fece più morti
della peste del XV secolo) sono scese sotto la soglia psicologica delle
500mila unità. Un fatto ancor più grave se si considera che rispetto al
2014 «le morti registrano un aumento di oltre 60 mila unità», osserva il
decano dei demografi dell’università Bicocca, Giancarlo Blangiardo,
mentre gli immigrati, che da almeno un ventennio colmavano il nostro gap
demografico, si sono anch’essi arresi all’evidenza che il nostro non è
un Paese per famiglie. Così come non è un paese per giovani (130 mila il
saldo netto degli italiani in uscita del 2014, quasi tutti con laurea o
master), che ormai migrano ovunque nel mondo, né per i vecchi, che
vanno godersi la loro pensione esentasse alle Canarie o in Portogallo.
Un suicidio demografico in piena regola, che non genera nessuna
mobilitazione nell’opinione pubblica né tantomeno riunioni allarmate del
Consiglio dei ministri. «Ci vorrebbero statisti come Alcide De Gasperi»
sorride Blangiardo, un demografo che aveva previsto questo inverno (o
inferno) demografico. Da qui ai prossimi quaranta o cinquant’anni si
assisterà alla supremazia schiacciante dei settantenni sui ventenni. Con
conseguenze catastrofiche per il welfare, soprattutto la sanità e le
pensioni, il cemento che ha tenuto insieme la società del benessere così
come l’abbiamo conosciuta.
Oltre cinque anni fa, un gruppo di
studiosi aveva redatto il Rapporto nazionale sulla famiglia, poi
archiviato in un cassetto. Obiettivo: indagare il crollo della natalità.
Nel 2012, il governo guidato da Mario Monti legge e approva il
documento. Finisce lì. E lo studio ritorna nel cassetto. Qualche anno
dopo pure gli immigrati si stufano di compensare la bassa natalità degli
italiani, «forse perché si resero conto – osserva Blangiardo – che pure
loro scontavano la mancanza di servizi e asili nido». Un’anomalia, la
natalità zero, che l’Italia condivide con la Germania, anch’essa con una
forte anoressia riproduttiva. La Francia («voleva più baionette delle
nazioni nemiche» chiosa il demografo della Bicocca), ma anche la Gran
Bretagna, sono invece in sostanziale equilibrio tra nati e morti. Le
colpe arrivano da lontano. Dall’ordine mussoliniano di donare oro (e i
figli) alla patria, alla retorica cattolica sulla famiglia nucleare, la
comunità riproduttiva fondata su madre, padre e figli. Non perché fosse
sbagliato difenderla, ma per il motivo opposto, cioè perché si è
tutelata solo a parole, senza fornirgli gli strumenti essenziali per la
sua sopravvivenza. Con una responsabilità storica di una o più
generazioni di politici cattolici, presenti trasversalmente in ogni
schieramento. Ricorda Blangiardo: «Una volta esistevano gli assegni
familiari. Funzionavano. Ma qualcuno decise di cancellarli, malgrado la
cassa fosse in attivo e le famiglie ricevessero un aiuto in denari
sonanti». Troppo semplice.
Oggi gli italiani sono 55 milioni (più
cinque milioni di immigrati). E nel giro di mezzo secolo potrebbero
precipitare a 40, praticamente il punto di non ritorno. Una società di
ottuagenari genera ripercussioni pesanti sulla struttura dei consumi.
Riflette Blangiardo: «Un settantenne o un ottantenne, tranne le lodevoli
eccezioni, al massimo fa manutenzione. E invece di comprarsi un paio di
scarpe va a risuolarsi quelle vecchie». Popolazione in calo, più
vecchia e meno ricca. Questo è lo scenario. Anticipato da quel picco di
60mila morti in più nel 2015. Il demografo milanese ha lavorato come un
detective per risalire alle cause di un innalzamento così brusco e
inaspettato della mortalità. Che attribuisce a un effetto cumulativo di
più cause: «L’epidemia di influenza nei primi tre mesi del 2015, quando
si è registrato il picco della mortalità, è stata affrontata da molti
anziani senza la protezione del vaccino per la sua presunta nocività;
poi lo slittamento delle cure sanitarie, pratica che accomuna molti
anziani in una situazione di parziale indigenza: una ricerca del Banco
farmaceutico ha rilevato che 2,5 milioni di anziani hanno rinviato le
cure mediche a data da destinarsi». Le proiezioni sono da brividi:
nell’Europa a 28 ci sono 500 milioni di abitanti che mettono al mondo
5,2 milioni di figli con una aspettativa media di vita di 80 anni. A
condizioni invariate, l’Unione europea perderà 100 milioni di abitanti.
Un crollo verticale. Conclude il demografo della Bicocca: «Inutile
lamentarsi poi per l’arrivo dei migranti senza titolo di studio: i
laureati dei Paesi più poveri scansano scientificamente l’Italia e
puntano diritti sul Nord Europa». Il vuoto, in natura, si riempie
sempre. Valeria Solesin, la dottoranda di Demografia alla Sorbona,
uccisa al teatro Bataclan il 13 novembre, lo sussurrava a tutte le donne
italiane che incontrava: «Non prendete cani o gatti: mettete al mondo
figli come le francesi».