Il Sole 16.1.16
Domani la visita
Con Francesco in Sinagoga parte la stagione della conoscenza
di Carlo Marroni
C’è
una storia che nasce dentro le stanze dei Sacri Palazzi. A metà degli
anni ’80 alla Santa Sede arrivavano pressioni diplomatiche
internazionali per un riconoscimento reciproco con lo Stato di Israele
(a cui si giungerà nel 1993), e di questo gli alti prelati di Curia ne
parlavano con Giovanni Paolo II. L’allora “ministro degli esteri”
vaticano, monsignor Achille Silvestrini, fine diplomatico, disse a
Wojtyla: «Non si può fare un accordo con Israele senza prima aver fatto
visita alla Sinagoga di Roma».
E così si arrivò a quel 13 aprile
1986 quando il papa polacco abbracciò rav Elio Toaff, entrambi testimoni
degli orrori del nazismo, e parlò al popolo ebraico come i «fratelli
maggiori». I Papi in Sinagoga. Domani alle 16 Francesco varcherà la
soglia del Tempio Maggiore di Roma, terzo pontefice della storia ad
entrare nel cuore religioso della più antica comunità della diaspora
giudaica. Un gesuita figlio dell’America latina con alle spalle una
storia di consuetudine e di amicizia con molti esponenti dell’ebraismo.
Bergoglio è il Papa che meno di due anni fa al memoriale di Yad Vashem
ha baciato la mano ai sopravvissuti ai campi di sterminio, che non esita
a far sentire la propria voce in difesa degli oppressi in Terra Santa,
senza per questo indugiare nel tacciare di antisemitismo ogni attacco al
diritto di Israele di vivere in pace. Una visita che si mette in
continuità con quelle dei due predecessori: quella di Benedetto XVI fu
esattamente cinque anni fa. Dice il Rabbino Capo, Riccardo Di Segni:
«Ognuno di tre papi una la sua personalità e si colloca in un momento
storico diverso. La prima visita di Giovanni Paolo II è stato un evento
epocale, rivoluzionario. La seconda visita ha voluto segnalare un
desiderio di continuità nello stile suo proprio di Benedetto, di
rapportarsi con l’ebraismo. E questa terza rappresenta in qualche modo
lo stile di questo Papa: la sua storia e il suo carattere». L’arrivo di
Francesco al Tempio Maggiore - dove oltre rabbino capo ci saranno ad
accoglierlo il presidente della Comunità, Ruth Dureghello, e il
presidente dell’Ucei, Renzo Gattegna - si colloca in fase storica molto
precisa e significativa. Infatti nelle scorse settimane sono stati
varati due documenti considerati molto importanti: una dichiarazione di
venticinque rabbini ortodossi, in gran parte israeliani e statunitensi,
sul significato e sul valore del cristianesimo, mentre da parte
cattolica è stato pubblicato un lungo documento della commissione della
Santa Sede per i rapporti con l’ebraismo sulla irrevocabilità dei doni
di Dio al popolo della prima alleanza. Soprattutto quest’ultimo testo,
molto complesso e profondo, è giudicato di fondamentale importanza,
perché è in qualche modo una “messa a punto” dei rapporti con l’ebraismo
dopo 50 anni dalla dichiarazione del Concilio Vaticano II “Nostra
Aetate”, che segna una spartiacque storico tra le due religioni.
Progressi enormi, quindi, da quell’epoca. Ieri l’«Osservatore Romano» ha
pubblicato un articolo di Guido Vitale, direttore di “Pagine Ebraiche”,
l’autorevole mensile dell’ebraismo italiano: «Sgombrato il campo dai
detriti della diffidenza e del sospetto – scrive Vitale, che racconta
del percorso delle visite di due papi precedenti - sarebbe forse
azzardato sostenere che la strada del dialogo appare ora tutta in
discesa, ma certamente siamo autorizzati a sperare che della nostra
amicizia ci attendano i frutti più dolci. Conquistata la stagione
dell’accettazione, possiamo aprirci alla gioia della autentica
conoscenza reciproca. E credo che il mondo ebraico nella sua estrema
complessità e diversificazione interna faccia bene a chiedere ora di
essere non solo accettato, ma anche compreso per quello che
effettivamente è».
Il 27 gennaio si celebrerà la Giornata della
Memoria, occasione ormai irrinunciabile anche per il mondo cattolico per
una riflessione profonda.
E infatti la prima sosta di Bergoglio
prima di entrare nel Tempio sarà davanti alla lapide che ricorda il 16
ottobre 1943, giorno della deportazione nazista degli ebrei romani, e a
seguire un omaggio alla lapide che ricorda l’attentato alla Sinagoga nel
9 ottobre 1982, dove perse la vita il piccolo Stefano Gaj Tachè, di due
anni, e 37 persone rimasero ferite. Ancora non è ufficiale, ma quando
Francesco si recherà il prossimo luglio a Cracovia per la giornata dei
giovani, quasi certamente andrà anche in visita alla vicina Auschwitz,
anche questa volta sulle orme dei suoi due predecessori.