il manifesto 27.1.16
Un’incoronazione equivoca
Storia.
«Carlo Magno. Il barbaro santo» di Stefan Weinfurter, uscito per il
Mulino. La biografia indaga le basi teoriche e morali del suo potere e
il ruolo nella storia dell’Europa
di Marina Montesano
Tra
le varie monarchie romano-barbariche, una era destinata a interessare
particolarmente la Chiesa e a segnare profondamente la storia europea:
quella franca. Fra V e VI secolo, in circostanze che la leggenda vuole
miracolose, re e popolo franco si erano convertiti in massa al
cattolicesimo abbandonando il culto pagano, e ciò in un momento in cui
le altre monarchie romano-barbariche conoscevano una fase di adesione al
cristianesimo attraverso la confessione ariana. I Franchi divennero
allora i «figli prediletti della Chiesa». Nel corso del VI secolo il
loro regno si era allargato su gran parte dell’attuale Francia, nella
quale si potevano distinguere le regioni di Austrasia (nord-est),
Neustria, Borgogna e Aquitania. I sovrani merovingi regnavano su una
popolazione nella quale un ceto di proprietari terrieri ben armati,
d’origine germanica reggevano le sorti di una popolazione d’origine
gallo-romana che, specie nel Meridione del paese, continuava a vivere in
città relativamente prospere. Tuttavia, la loro storia (delineata da
Bernhard Jussen, I franchi, il Mulino, pp. 162, euro 14) difficilmente
ci sarebbe parsa così di spicco se non fosse culminata nella monarchia e
nell’impero di Carlo Magno. Sul personaggio negli ultimi anni (ma non
solo, ovviamente) sono apparse diverse biografie; in Italia bisogna
almeno ricordare quelle di Alessandro Barbero e di Franco Cardini, oltre
a varie traduzioni.
Se ne aggiunge adesso una nuova: Stefan
Weinfurter, Carlo Magno. Il barbaro santo, il Mulino, pp. 342, euro 25).
Ritroviamo nel testo tutto quello che è lecito attendersi: un po’ di
biografia tradizionale, le campagne militari, le riforme culturali, le
basi teoriche, concettuali e morali del suo potere; e poi naturalmente
il dibattito sul suo ruolo nella storia d’Europa: a partire
dall’incoronazione imperiale. Elevato al soglio pontificio nel 795, Papa
Leone III aveva chiesto protezione a Carlo contro l’aristocrazia romana
che minacciava le sue prerogative; ma, siccome i Romani persistevano
nel loro atteggiamento d’inimicizia nei suoi confronti, nel 799 si recò
in Francia per chiedere un più energico sostegno. Carlo scese a Roma, in
apparenza come mediatore; tuttavia, nella notte di Natale dell’800
assunse un equivoco titolo imperiale. Il papa lo incoronò, mentre la
folla raccolta in San Pietro lo acclamava (l’acclamazione era un
elemento giuridico importante nell’incoronazione imperiale fin dai tempi
di Roma).
Il gesto del Natale 800 resta un enigma. Papa Leone
aveva forse inteso ricompensare così chi lo aveva sostenuto; ma, con
questo gesto, egli intendeva anche dichiararsi libero dalla tutela
dell’imperatore bizantino? O addirittura rivendicare il suo diritto a
disporre della corona imperiale, quindi a incoronare, ma anche – in caso
di necessità – a deporre? Dal suo canto, l’aristocrazia romana
rivendicava, con le acclamazioni, l’antico diritto del popolo romano a
disporre dell’impero. Carlo, secondo alcune fonti, fu colto di sorpresa
dalla situazione e mostrò sulle prime di non gradirla: certo, essa lo
poneva in una situazione di obiettivo confronto con Bisanzio; d’altronde
gli forniva un’autorità almeno morale sul suo popolo e sull’Occidente
quale nessun re germanico aveva avuto fino ad allora.
Apparso in
lingua tedesca nel 2013, viene ora tradotto con merito in italiano;
operazione opportuna, vista la scarsa possibilità per i più di attingere
all’originale. Bisogna dire che l’Italia resta uno dei pochissimi paesi
al mondo nei quali si traduce la saggistica con una certa intensità; a
giudicare dal pur ricco apparato di note del testo, per esempio,
colpisce il fatto che Weinfurter abbia consultato molta storiografia
tedesca, parecchia in inglese, pochissima in francese, e nulla in
italiano. Forse il segno di un peso specifico non troppo elevato della
nostra lingua e della nostra storiografia (però gli Atti dei Convegni
spoletini sull’Alto Medioevo, almeno, sarebbero stati indispensabili),
ma certo anche un segno preoccupante della scarsa volontà delle
storiografie nazionali di guardare a un panorama più ampio. Il che, in
tempi in cui si parla tanto di globalizzazione, lascia molto perplessi.