il manifesto 24.1.16
Portoghesi al voto, Sousa in pedana
Presidenziali. Il favorito è un populista conservatore, volto televisivo. Quattro i candidati per le sinistre
di Goffredo Adinolfi
LISBONA
Oggi, dopo circa due mesi e mezzo dalle elezioni politiche, i
portoghesi sono chiamati alle urne per eleggere il presidente della
Repubblica. Sì, perché il Portogallo è, come la Francia, una repubblica
semipresidenziale nella quale però, avvicinandosi in questo senso molto
all’Italia, il capo dello Stato ha essenzialmente un ruolo di arbitro
super partes.
Marcelo Rebelo de Sousa, candidato delle destre, è
di gran lunga il favorito a succedere ad Aníbal Cavaco Silva (entrambi
del Partido Social Democrata — Psd). Le formazioni progressiste in
realtà non sono mai veramente entrate in partita, questo nonostante a
livello teorico il nuovo governo frentista guidato da Antonio Costa
avrebbe potuto rappresentare un volano molto forte. Eppure,
incomprensibilmente, sebbene Bloco de Esquerda (Be), Partido Comunista
Português (Pcp) e Partido Socialista (Ps) abbiano mostrato un realismo
del tutto inaspettato quando si è trattato di negoziare per dare vita a
un esecutivo di rottura, è mancato lo stesso pragmatismo nel proporre
una candidatura più o meno unitaria anche per il palazzo di Belém.
Addirittura
quattro sono i nomi in campo: Edgar Silva, (Pcp), Marisa Matias, (Be),
António Sampaio da Novoa , indipendente appoggiato da una parte
significativa del Ps e Maria de Belém, socialista, che però non è la
candidata ufficiale del partito. Troppi, e così non è difficile per
Sousa apparire come l’unica figura capace di ergersi al di sopra della
parti e quindi come il più adatto a «rappresentare l’unità del paese».
Dopotutto
l’uomo dei conservatori è oggi conosciuto quasi esclusivamente come il
commentatore degli avvenimenti politici per la rete televisiva Tvi. È
come se fosse riuscito a dissociarsi completamente dal suo passato di
alto dirigente del Psd — ministro, segretario di partito, membro del
consiglio di Stato — trasformandosi in quel vicino di casa che tutti
vorrebbero avere e a cui tutti vorrebbero chiedere consiglio.
Nella
sua campagna sono davvero pochi i messaggi politici, e le risposte ai
giornalisti sulle questioni più controverse sono sempre evasive. Uscito
dalla televisione, lo scenario preferito da Sousa è sempre quello dei
mercati, il bagno taumaturgico tra le persone «vere», la gente comune, e
gli ambienti pittoreschi. Poco importa se il suo partito ha fatto di
tutto in questi anni per rendere molto difficile la vita di queste
persone. Poco importa se Cavaco Silva, proprio da Belém, sia stato un
sostegno imprescindibile del governo di Pedro Passos Coelho.
In
Sousa tutto rimanda a una logica populista, soprattutto per quel che
riguarda la costruzione, attraverso la televisione, di un legame diretto
popolo-leader che trascende le dicotomie destra-sinistra. I sondaggi
mostrano inequivocabilmente come Marcelo riesca a raccogliere consensi
ben al di sopra del 50%, molto al di là degli stretti confini dei
partiti che, implicitamente, lo sostengono (Psd e Centro Democrata
Social — Partido Popular sono dati di poco al di sopra del 30%).
Se
questi numeri venissero confermati potrebbe quindi non esserci bisogno
neanche un secondo turno, ma i sondaggi sono fallibili, e se Sousa non
dovesse riuscire a vincere già questa sera allora il suo cammino verso
Belém potrebbe rivelarsi ben più complicato di non quanto ci si sarebbe
aspettati in un primo momento.
Insomma, gli entusiasmi per
l’accordo a sinistra che ha dato vita al governo Costa sembrerebbero
essersi in parte essere già spenti, o forse i partiti non sono riusciti a
trasmettere la storicità di un patto che, vale la pena sottolinearlo, è
stato un affaire tutto interno a Be, Pcp e Ps e che, solo
marginalmente, ha coinvolto la popolazione.
È infatti innegabile
come l’attuale primo ministro rappresenti una inversione di rotta molto
profonda rispetto al precedente consolato di Coelho. Certo, ancora non
sono del tutto noti i contenuti della prossima legge di bilancio, ma i
segnali che traspaiono sono incoraggianti.
Tra i vari piani che si
incrociano tra di loro in queste settimane, non secondario è il legame
strettissimo che si è venuto a creare tra la politica spagnola e quella
portoghese. Pablo Iglesias, leader di Podemos, è stato a Lisbona la
scorsa settimana per sostenere la candidatura della Matias, Pedro
Sanchez, segretario del Psoe, ha incontrato Antonio Costa pochi giorni
dopo le elezioni e, cosa più importante di tutte, è oramai ipotesi
concreta che anche a Madrid possa costituirsi un governo del «cambio».
Schizofrenie,
queste, solo apparenti, perché la consapevolezza è sempre una questione
che riguarda fasce abbastanza ristrette della popolazione che, a quanto
pare, in questa tornata elettorale potrebbe optare per la notorietà del
candidato più che per i suoi programmi. Peccato, perché una sponda a
Belém rafforzerebbe Costa in modo determinante. Intanto perché
eviterebbe veti o richieste di costituzionalità dei vari diplomi e poi
perché, cosa ancora più importante, a partire da aprile, in coincidenza
con l’insediamento del nuovo capo dello Stato, il parlamento potrà
essere nuovamente sciolto, e questa decisione spetta in modo
insindacabile al presidente delle Repubblica.