il manifesto 19.1.16
Ue, accordi con Israele inapplicabili nei Territori occupati
Israele/Ue.
Il Consiglio per gli Affari Esteri dell'Ue traccia una distinzione
netta tra Israele e gli insediamenti colonici costruiti in Cisgiordania,
a Gerusalemme Est e nel Golan siriano e riafferma il sostegno alla
soluzione dei due Stati. Netanyahu aveva cercato di bloccare la
risoluzione con l'aiuto di cinque Paesi europei
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Si fa più profondo il conflitto tra Unione europea e il governo
Netanyahu su occupazione e colonizzazione dei Territori. Ieri il
Consiglio per gli Affari Esteri dell’Unione Europea ha approvato una
risoluzione che traccia una distinzione tra Israele e gli insediamenti
colonici costruiti in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nel Golan
siriano. La risoluzione chiede che gli accordi tra lo Stato di Israele e
l’Ue stabiliscano in modo inequivocabile ed esplicito la loro
inapplicabilità nei Territori occupati nel 1967. A Israele si chiede di
«mettere fine alle attività di insediamento e di smantellare gli
avamposti (colonici) eretti dal marzo 2001», perché gli insediamenti
«mettono seriamente a rischio la possibilità per Gerusalemme di
diventare la futura capitale dei due Stati (Israele e Palestina)». I
ministri degli esteri dell’Ue ricordano nella risoluzione che gli
insediamenti «sono illegali in base alla legge internazionale,
costituiscono un ostacolo alla pace e minacciano di rendere impossibile
la soluzione dei due Stati». L’Ue inoltre riafferma la sua forte
opposizione al Muro costruito da Israele in Cisgiordania e intorno a
Gerusalemme, alle demolizioni e confische, anche di progetti finanziati
dall’Europa, ai trasferimenti forzati di popolazione e alle restrizioni
ai movimenti. Sono punti centrali in linea con la decisione presa a
novembre dalla Commissione europea di richiedere una etichettatura
diversa, quindi non con il “Made in Israel”, per le merci prodotte nelle
colonie ed esportate verso l’Ue.
Israele per giorni ha provato a
bloccare la nuova risoluzione europea. Domenica scorsa il premier
Netanyahu aveva chiesto con forza ai rappresentanti di alcuni Paesi
europei vicini a Israele — Cipro, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria e
Grecia — di non votare la risoluzione. Il suo obiettivo ieri era quello
di spingere per un rinvio del voto fino al prossimo meeting, tra un
mese, per consentire a Israele e ai suoi alleati nell’Ue di ammorbidire
il testo della risoluzione. Netanyahu, giovedì scorso, incontrando la
stampa estera a Gerusalemme, aveva affermato che il “problema” non sono i
singoli Paesi europei, con i quali il suo governo manterrebbe buoni
rapporti, bensì la Commissione europea ossessionata da Israele. Il
premier e i partiti che compongono la sua coalizione sono furibondi con
l’Ue che insiste per la creazione di uno Stato palestinese e non intende
riconoscere l’annessione a Israele, di fatto già avvenuta, di ampie
porzioni di Cisgiordania.
Il conflitto con l’Ue è aperto, almeno
su occupazione e colonie, ma il primo ministro israeliano non può
permettersi di aggravarlo. Peraltro le relazioni con un Paese importante
come il Brasile restano tese per la decisione di Netanyahu di
confermare la nomina ad ambasciatore a Brasilia dell’ex leader dei
coloni israeliani, Dani Dayan, nonostante il rifiuto del gradimento
giunto dalla presidente Dilma Rousseff. Senza dimenticare che Netanyahu
ha dovuto digerire la fine del regime di sanzioni internazionali contro
la sua ossessione, l’Iran.
Nei Territori occupati la tensione
continua a salire. Reparti israeliani si stanno dispiegando in aree
della Cisgiordania lasciate negli ultimi 2–3 anni e spuntano ovunque
posti di blocco. Ma è nella zona di Hebron che la pressione
dell’esercito si è fatta più intensa. I soldati cercano il palestinese
che domenica ha accoltellato e ucciso davanti ai figli una israeliana,
Dafne Meir, nella colonia ebraica di Otniel. L’uomo è poi riuscito a far
perdere le tracce. Centinaia di israeliani ieri hanno partecipato ai
funerali della donna mentre giungeva la notizia del ferimento da parte
di un palestinese di un’altra israeliana, vicino alla colonia di Tekoa.
Sull’altro versante, solo la scorsa settimana, sono stati uccisi nove
civili palestinesi (alcuni accusati da Israele di aver tentato
attacchi), due dei quali adolescenti, oltre a un militante di Hamas.
Sempre la scorsa settimana, secondo un bilancio del “Centro palestinese
per i diritti umani”, unità israeliane hanno effettuato 72 raid — tutti
in Cisgiordania, tranne uno a Gaza — e arrestato oltre 60 persone. Nel
frattempo resta in ospedale, nel reparto di terapia intensiva, il
giornalista palestinese Mohammed al Qiq, di Majd TV, arrestato lo scorso
novembre dall’esercito israeliano e posto in “detenzione
amministrativa” per sei mesi, senza processo. Al Qiq digiuna in segno di
protesta da oltre 50 giorni ed è in condizioni gravi. L’istanza di
scarcerazione presentata dal suo avvocato è stata respinta sabato scorso
dalla corte militare di Ofer.