il manifesto 12.1.16
Il fronte del No
Una stagione per la democrazia
di Massimo Villone
Il
comitato per il no alla riforma costituzionale Renzi-Boschi ha dato il
via alla propria campagna nel giorno in cui il voto della Camera ha
concluso la prima deliberazione ex art. 138. Una assemblea molto
affollata, tanto da costringere gli organizzatori a cercare una sala più
grande. E ai piani alti del Pd qualcuno ha mugugnato contro la
Boldrini, colpevole di aver autorizzato l’uso della sala nelle stesse
ore in cui l’Aula votava. Evidentemente, un sassolino nella strategia
comunicativa del capo. Saranno pure i cittadini a decidere sulla
riforma. Ma evitiamo che discutano o pensino troppo, prima di votare.
Potrebbero confondersi.
Il referendum sulla riforma è ormai certo,
perché la maggioranza rimane lontana dai due terzi dei componenti sia
alla Camera che al Senato. Solo per chiarezza, sarà utile ribadire che
il referendum è strumento dato dalla Costituzione a chi si oppone alla
riforma, e non a chi la approva. Quindi la trasformazione in un
plebiscito sullo stesso Renzi è l’ennesima forzatura cui assistiamo.
«Se
perdo vado a casa» è minacciare la crisi. Renzi vuole sequestrare
domani la libertà di voto degli italiani come ha sequestrato ieri la
libertà di voto dei parlamentari. E il primo obiettivo di chi si oppone
alla riforma deve appunto essere ridare agli italiani la libertà di
voto. Come? Anzitutto con la richiesta di referendum da parte dei
parlamentari di opposizione (almeno 126 deputati). Ma ancor più facendo
partire una stagione di referendum abrogativi contro le leggi di Renzi,
dalla scuola al Jobs Act, all’Italicum. La migliore risposta alle
pulsioni plebiscitarie del leader viene da centinaia di migliaia di
firme su quesiti abrogativi delle sue leggi.
Tra queste,
l’Italicum merita una menzione particolare. Non solo per
l’incostituzionalità che con certezza deriva dalla inosservanza dei
principi posti dalla Corte costituzionale nella sentenza 1/2014, quanto
alla rappresentatività delle assemblee elettive ed alla libertà di voto.
Ma ancor più perché in sinergia con la riforma costituzionale determina
un favor per governi a vocazione minoritaria.
Governi fondati su
una ridotta base di consensi reali perché espressione di una forza
politica minoritaria cui solo gli artifici del sistema elettorale
consegnano i numeri posticci di una maggioranza parlamentare priva di
qualsiasi contatto con la realtà.
E quei numeri posticci
consegnano le chiavi di un potere non più limitato da un efficace
sistema di checks and balances. Questo esito viene dal combinato
disposto di premio di maggioranza e ballottaggio senza soglia, con il
mantenimento di quorum per gli organi di garanzia che perdono
sostanzialmente di significato.
Si indebolisce la stessa rigidità
della Costituzione, visto che alla forza politica minoritaria si
garantisce nella camera politica una maggioranza ampiamente sufficiente
per la revisione. Rispetto alla forza politica vincente, quale che sia
il consenso ricevuto, perdono largamente di significato le garanzie
della rigidità di cui all’art. 138. Con una maggioranza garantita alla
Camera e una manciata di senatori sindaci e consiglieri regionali si
dispone della Costituzione.
Il punto grave è che il governo a
vocazione minoritaria non viene da un fortuito ed eccezionale concorso
di circostanze, che potrebbero occasionalmente verificarsi in qualunque
contesto di sistema elettorale o modello costituzionale. Il favor per il
governo a vocazione minoritaria si mostra invece come elemento
strutturale del modello messo in campo, e come esito normale e
consapevolmente voluto dal costituente di oggi, per l’obiettivo —
dichiarato — di avere un vincitore certo la sera del voto. Questo perché
si traducono acriticamente i luoghi comuni del bipolarismo
maggioritario in un sistema che bipolare più non è. I passatisti veri,
che non capiscono il nuovo, sono a Palazzo Chigi,
Non c’è modo di
ricondurre tutto questo a una qualsivoglia forma di continuità con la
Costituzione repubblicana. Nessuno in Assemblea Costituente avrebbe mai
pensato che la filosofia della governance repubblicana fosse consegnare
le chiavi del potere a una forza politica di minoranza. Si assumeva come
punto di partenza indispensabile per governare che ci fosse un consenso
reale nel paese. Per questo era previsto che la cd legge truffa
trovasse applicazione solo con il conseguimento di una maggioranza
assoluta di voti, in un tempo che vedeva la partecipazione degli
elettori superare il 90%.
Oggi, è la stessa Costituzione a uscirne indebolita. E la patologia diventa normalità, regola.
Ci
aspettano tempi difficili. Dalla crisi economica ai nuovi rapporti di
forza tra nord e sud del mondo, al terrorismo endemico, alla difficile
convivenza tra etnie e culture assai diverse imposta da migrazioni di
interi popoli. Saranno tempi non meno difficili degli anni della
ricostruzione post-bellica. Pensare di affrontarli riducendo il potere
in poche mani è illusorio. È politicamente sciocco, oltre che in piena
rottura con la Costituzione vigente. Bisogna capovolgere questo impianto
che può solo fare danno al paese. A questo serve la stagione
referendaria di partecipazione democratica di massa che andiamo ad
aprire.