mercoledì 6 gennaio 2016

Corriere 6.1.16
«Se accogli devi garantire una vita dignitosa Oggi non è più possibile»
Lo scrittore svedese Larsson: ma i controlli sono inutili
Servirebbe un asilo di emergenza, diritti immediati, come scuola e lavoro, ma a termine
Noi non siamo cambiati, siamo stati e saremo sempre ospitali. Ma da soli non ci riusciamo
intervista di Giusi Fasano


 Chi è Björn Larsson, 62 anni, è uno scrittore svedese e docente di letteratura francese Il suo primo successo fu Il cerchio celtico pubblicato nel 1992

«È la prima volta che per tornare a casa da Copenaghen devo mostrare la carta di identità».
Sensazione?
«Fastidio. E credo che la pensi così la maggioranza degli svedesi. Se il governo dice che abbiamo raggiunto il limite è perché non c’è più possibilità di accoglienza, di solidarietà e di generosità. Ma certo non è una soluzione ripristinare i controlli alle frontiere».
Lo scrittore Björn Larsson risponde al telefono da Helsingborg, nel sudovest della Svezia. Ieri è rientrato a casa via Copenaghen, appunto, dopo qualche settimana passata in Italia. E si è ritrovato nel flusso di quei filtri di confine inesistenti quand’era partito.
Il Paese da sempre in prima fila in Europa per tolleranza e accoglienza che all’improvviso si chiude a riccio. Cos’è cambiato?
«Non è cambiato nulla. Noi siamo stati e saremo sempre ospitali ma c’è un limite a tutto. Abbiamo accolto 160 mila persone in un anno e quello che forse non è chiaro, ma rende tutto molto difficile, è che a Stoccolma d’inverno ci sono -10 gradi, nelle cittadine del nord anche -20 e se accogliamo qualcuno non possiamo lasciare che entri e poi se la cavi da solo. Morirebbe di freddo e di fame. E poi è la linea di pensiero svedese è: se accogli devi poter garantire una vita dignitosa, e questo richiede un impegno enorme. Sarebbe meglio se fosse diviso equamente fra noi, Danimarca, Finlandia, Ungheria... Così, tanto per buttar lì un primo rimedio».
Ma se non lo sono i controlli allora qual è la soluzione?
«Credo che per cercarla bisognerebbe almeno sedersi a un tavolo e parlarsi, finalmente. Non dico grandi summit che producono spesso soltanto proclami, parlo di pochi Paesi alla volta che discutano il da farsi e che lo facciano subito. Leggevo che il premier svedese in questi giorni non ha sentito nemmeno una volta quello danese... Le sembra sensato che si parlino attraverso i giornali? E poi si arriva a idee come questa dei controlli... Sarebbe facilissimo dimostrare quanto è sbagliata».
In che modo?
«Proviamo a immaginare un piccolo gesto di disobbedienza civile: le migliaia di pendolari che passano il confine ogni giorno vanno al lavoro senza carta di identità. E in quel caso che si fa? Non si fa passare nessuno? Tempo un paio d’ore questo sistema dei controlli andrebbe in tilt. Proverei a ragionare su altro».
Per esempio su cosa?
«Abbiamo moltissimi cinesi, thailandesi e altri immigrati che hanno a che fare con l’economia e ai quali è concesso con facilità l’ingresso. Tolgono spazio e aiuto ai rifugiati che umanamente ne avrebbero più bisogno. Forse potremmo provare a stringere un po’ le maglie su di loro e aprire a chi ha più necessità. E poi dovremmo parlare di asilo di emergenza. Non permessi per sempre ma per il tempo necessario a proteggere la gente da guerre e fame. Con diritti immediati a lavoro e scuola».
Ha mai pensato di scrivere un romanzo che ha per protagonisti gli immigrati ?
«Ci provo da dieci anni. Ho scritto per un sacco di volte le prime cento pagine di un romanzo sui clandestini ma ogni volta che le ho rilette ho avuto la sensazione che la realtà nel frattempo mi avesse superato, che fosse diventata più complessa e sorprendente del mio racconto. Il problema è che se uno scrive di un tema attuale rischia di fare di quel libro un ritratto ideologico, una bandiera. Non sono riuscito a trovare un personaggio che potesse incarnare qualcosa di più profondo che scappare dalla miseria e dalla guerra che per un libro è uno schema banale. Quindi per ora ci ho rinunciato».
Quale Svezia sogna, oggi?
«Sogno per la Svezia le stesse cose che sognerei per altri Paesi. Faccio un esempio: vorrei più uguaglianza economica, sociale, giuridica e di potere fra i sessi. Uguaglianza, non identità. La chiave per un mondo migliore sono le donne e anche se noi svedesi in questo siamo i primi c’è ancora molto da fare».