martedì 5 gennaio 2016

Corriere 5.1.16
Svezia, controlli dopo 50 anni al confine con Copenaghen
Frontiere bloccate in Danimarca e Svezia
Il ponte che unisce le due Europe ora è il simbolo delle divisioni
Da 15 anni lega il Grande Nord al Continente tagliando lo stretto di Oresund Rischia di svanire l’antico sogno del «Noi»
di Luigi Offeddu


«D imenticare gli insulti e le imprecazioni/ e brindare gli uni agli altri/ Così che Loro e Noialtri diventiamo Noi/ Questo è meglio che combattere». Benny Andersen, un poeta danese, sognava così l’apertura del ponte stradale e ferroviario più lungo d’Europa. «Loro» erano gli svedesi, «Noialtri» i danesi, e il «Noi» finale entrambi i popoli più quasi mezzo miliardo di europei. Più ancora, lo si è visto solo negli ultimi due-tre anni, altri milioni di esseri umani in fuga dall’Africa e dall’Asia.
Ora che il ponte sembra chiudersi, sbarrato da timbri e protocolli, c’è in gioco ben altro che il trattato di Schengen. Perché quei 15,9 chilometri di cemento con 54 campate, da quando Margherita II di Danimarca e Carlo XVI Gustavo di Svezia li inaugurarono il primo luglio 2000, hanno riunito il Grande Nord e tutto il resto d’Europa: separati da qualche millennio, fino ad allora, nella geografia fisica, nella storia, nell’economia, nella cultura. Non c’erano aerei e navi, già nel 2000? Certo che sì, ma il cemento e i binari sono stati il sigillo, il simbolo di due mondi che si saldavano. Da allora un europeo — e da poco un africano, un asiatico, chiunque — ha potuto andare dal Sud dell’Europa al Circolo polare artico e simbolicamente allo stesso Polo Nord, senza sollevare i piedi dalla terra, e altrettanto simbolicamente senza dover scavalcare barriere e fili spinati.
Il ponte è stato inaugurato 15 anni fa ma in fondo era da 100 anni in progettazione, almeno nelle menti e nei sogni di governanti, ingegneri, poeti. Anzi, forse da prima. Da quando Eric Dahlberg, ingegnere spione svedese, fu mandato dal suo re Carlo X Gustavo a tastare, letteralmente, il ghiaccio degli stretti di Danimarca. Si era nell’inverno 1658, Carlo Gustavo tornava a rotta di collo dalle disastrose scorrerie in Polonia per gettarsi su un bottino più prestigioso: la Danimarca, rivale di sempre. Ma la Danimarca era, appunto, protetta dal suo mare e dai suoi stretti. Risolse tutto l’ingegner Dahlberg. A fine gennaio 1658 rientrò dalle sue ispezioni segrete, compiute con i meteorologi di corte, riferendo che entro un paio di giorni il ghiaccio sarebbe stato ormai così solido da reggere un‘armata. Così settemila soldati, scelti fra i veterani più duri, con migliaia di cavalli e spingarde, varcarono gli stretti: Copenaghen fu stretta d’assedio, e un patto umiliante fu imposto al suo Federico III. Soprattutto, i generali e i sovrani d’Europa presero atto: il Grande Nord non era un pianeta quasi irraggiungibile, né i suoi mari una barriera quasi invalicabile; e altrettanto pensarono di Berlino, Parigi o Roma gli altri, i discendenti dei Vichinghi. Dalle parti di Copenaghen, un detto scaramantico spiegava: se lo stretto di Oresund gela e uno svedese cammina sul ghiaccio verso la Danimarca, i danesi hanno il diritto di accoglierlo a bastonate. Ma l’inverno, e il ghiaccio, erano ovviamente solo una scappatoia precaria per gli uni e per gli altri. Solo un ponte, prima o poi, poteva essere la soluzione vera, in guerra o in pace. E dopo qualche secolo, il ponte arrivò.
Verso il 1995, si pensava molto in grande: costruire alte dighe attraverso l’Oresund, e crearvi in mezzo la base di terraferma per il futuro ponte. Poi, i ministri delle finanze fecero un paio di conti, e i preventivi calarono. Il progetto fu anche una grande sfida ambientale, ancora non si sa bene se vinta o no. L’acqua del mar Baltico che giunge allo stretto di Oresund mantiene equilibri delicatissimi perché è essenziale, ricca com’è di sale e ossigeno, all’armonica sopravvivenza di pesci come i merluzzi o le aringhe: così draghe gigantesche hanno scavato sul fondo marino, per far sì che piloni, campate o isole artificiali non riducessero proprio gli scambi d’acqua.
Per l’Unione Europea, tutto il progetto fu dall’inizio obiettivo fondamentale. E non solo per ragioni economiche: si calcolò che — simbolo per simbolo — il ponte avrebbe ancorato assai di più alla casa comune la Danimarca, che dal 1973 sta nella Ue ma non nell’eurozona, e conserva gelosamente alcuni «opt-out», possibilità di esonero da certe norme europee.
Nel frattempo è arrivato il trattato di Schengen, compimento di uno dei principi fondatori dell’Ue, la libertà di circolazione. «Oresund», quel nome che per tanti era stato una finestra di speranza, è divenuto per altri un’ombra minacciosa, più gelida dei ghiacci sui quali galopparono i cavalieri svedesi.