Corriere 4.1.16
Il neurochirurgo Sergio Canavero
La sfida del «cervello immortale»
di Maurizio Bonassima
D a un fascio di spaghetti a una lezione di neurochirurgia, il passo è breve. Lo dimostra, nella teoria e nei fatti, il neurochirurgo Sergio Canavero, con l’assistenza del giornalista scientifico Edoardo Rosati, nel libro Il cervello immortale (edizioni Sperling & Kupfer, pagine 180, e 18).
Il trapianto di testa è una possibilità concreta che non va confusa con la (fantomatica e cinematografica) sostituzione del cervello. Prima di fare ogni considerazione bisogna comprendere i passi fatti dall’autore nella pratica clinica del «dolore centrale», della riabilitazione dei pazienti paraplegici fino al risveglio di un corpo morto (in coma da due anni) con l’elettrostimolazione cerebrale.
Gli «spaghetti» altro non sono che un insieme di terminazioni nervose del midollo osseo, quelle che comandano i movimenti e la vita. Un bisturi altamente chirurgico può separarli di netto e con l’aiuto del Peg (polietilene glicole) e del chitosano (quell’estratto dal guscio dei crostacei che fa anche dimagrire) si possono ricongiungere e farli rinascere. In mezzo ci sta tutta una pratica clinica sulle lesioni vertebrali, sui danni permanenti, su uomini e donne che riconquistano la mobilità dopo una vita sulla sedia a rotelle.
Cosa c’entra allora un (avveniristico) trapianto di testa? Immaginate un essere umano perfetto di mente, un cervello sano e potente in un corpo senza vita e senza speranza (in uno stato neurovegetativo). Ecco allora il senso: chiamiamolo all’inverso il trapianto di un corpo sano (quello del donatore) a cui vengono ricollegate testa e terminazioni nervose sane (quelle del ricevente).
La teoria si fa forza dell’esperienza clinica, i detrattori vengono messi a confronto con altri sognatori che hanno fatto la storia: dai fratelli Or-ville e Wilbur Wright con l’invenzione dell’aeroplano, Louis Pasteur con la scoperta dei microbi, a Christiaan Barnard con il primo trapianto di cuore.
Tutti visionari, tutti improvvisatori, si diceva al tempo. Adesso si vola, gli antibiotici salvano la vita e il trapianto di cuore è pratica comune. Così oggi, dati clinici alla mano, i cinesi sono pronti a fare il grande passo. Il «paziente zero» si chiama Valery Spiridonov. È un tecnico di computer trentenne, viene da Vladimir, in Russia, e soffre di una severa forma di atrofia muscolare spinale, senza speranza. Aspetta un nuovo corpo. L’intervento è programmato per il 2017. A comporre l’équipe necessaria, fatta di centocinquanta medici specialisti che arriveranno da tutto il mondo, sarà un torinese, un idealista concreto, un chirurgo che forse cambierà il mondo, il professor Sergio Canavero appunto.