Corriere 28.1.16
Tra reticenze e scaricabarile l’affanno delle istituzioni
Possibile che davvero non si sappia a chi imputare la scelta?
Non si muove mosca senza il consenso degli uffici alla diretta dipendenza del premier
di Marco Galluzzo
ROMA
Avviare un’indagine interna, affidata al segretario generale di Palazzo
Chigi, Paolo Aquilanti, significa ammettere che a tre giorni dal fatto
non si sa chi ha preso la decisione. E che non è chiaro di chi siano le
responsabilità della scelta di oscurare i nudi della nostra storia
dell’arte, per non imbarazzare, o contrariare, il presidente iraniano in
vista a Roma. Possibile? A giudicare dal coro unanime di giudizi che si
raccolgono fra i funzionari della presidenza del Consiglio, ovviamente
in forma anonima, no, non è possibile. In quella che appare
trasformarsi, con il passare delle ore, in una grottesca corsa allo
scaricabarile, manca un elemento, al di là del merito, di razionalità.
Dicono
all’ufficio diplomatico, diretto da Armando Varricchio, che in queste
ore si trova a Tokyo per una riunione degli sherpa del G7: «Noi non
c’entriamo nulla». Dice l’ufficio stampa: «Anche noi non c’entriamo
nulla». Dice anche l’ufficio del cerimoniale, almeno quello velatamente
incriminato: «Non fateci parlare». Dice ancora il ministro dei Beni
Cultuali, Dario Franceschini: «Io non sapevo nulla e nemmeno Renzi».
Aggiungono alla Farnesina: «Per carità, noi con le guide rosse e le
statue non c’entriamo nulla».
Eppure, a rigore di logica, visto
che Renzi ha rivoluzionato il modo di lavorare della presidenza del
Consiglio, visto che non si muove mosca senza il consenso degli uffici
alla diretta dipendenza del premier, è realmente possibile che qualcuno
abbia preso una decisione di questo rilievo, abbia ordinato dei pannelli
di legno, li abbia fatti trasportare nei corridoi dei Musei Capitolini,
li abbia installati, senza che a tre giorni dall’evento si conoscano
con certezza dinamica e responsabilità della decisione?
Si tira
fuori, in modo anche piuttosto critico, ovvero puntando l’indice contro
Palazzo Chigi, il Soprintendente dei Musei Capitolini, Claudio Parisi
Presicce. Che però ha ricevuto dal commissario di Roma, Francesco Paolo
Tronca, la richiesta urgente e perentoria di una relazione scritta su
quanto accaduto. Possibile che chi ha la supervisione sui musei non
sapesse nulla, almeno di ciò che accade in casa propria?
Un
governo che apre un’indagine interna su decisioni che ha preso, un
Soprintendente che non sa nulla, un commissario prefettizio che ha
funzioni di sindaco della Capitale che ha bisogno di chiedere cosa
accade nel palazzo adiacente al suo, con una relazione scritta.
Possibile, anche in questo caso, che non lo sappia già?
Nel gioco
delle reticenze, e nella dinamica di un’indagine interna, sembra
comunque riflettersi l’affanno istituzionale per una vicenda
sottovalutata e sfuggita di mano. Così come emerge, in modo vistoso, un
meccanismo decisionale che ha certamente bisogno di correzioni, dentro
il palazzo del governo. Almeno se c’è bisogno di affidare un’indagine
formale al segretario generale per risalire alla responsabilità di
coprire con dei pannelli delle statue.
E’ possibile che alla fine a
pagare sia Ilva Sapora, la direttrice dell’ufficio del Cerimoniale di
Palazzo Chigi. Mentre alla Farnesina fanno notare che un loro
diplomatico, Cristiano Gallo, fino a due anni fa supervisionava gli
aspetti internazionali dell’ufficio della Sapora, «ma poi è stato fatto
fuori, quindi non rivolgetevi a noi». L’idea che un apparato
istituzionale complesso possa lavorare in modo trasparente e armonico ne
esce ammaccata.