Corriere 22.1.16
Renzi, affondo su Juncker
Il premier
incontrerà il 29 gennaio Angela Merkel: tra le altre cose, le chiederà
anche le dimissioni di Martin Selmayr, capo di gabinetto di Juncker che
ha attaccato il governo italiano celandosi dietro l’anonimato
di Maria Teresa Meli
ROMA
Matteo Renzi è soddisfatto per «l’importante gioco di squadra» fatto
ieri. Si riferisce alle sue dichiarazioni, alle parole di Mario Draghi,
che hanno rassicurato i mercati, e a quelle del ministro dell’Economia
Pier Carlo Padoan.
L’interventismo di ieri del presidente del
Consiglio, che ha scritto una lettera al britannico Guardian , è uscito
con un’intervista al Sole 24Ore e poi è andato negli studi di Porta a
Porta , si spiega con la necessità di rassicurare il Paese. L’obiettivo è
quello di far vedere che «l’Italia si è rimessa in moto».
L’offensiva
mediatica di Renzi è stata battezzata a Palazzo Chigi con il nome di
Fireside chats . Si chiamavano così, «chiacchiere al caminetto», le
conversazioni radiofoniche con gli elettori inaugurate nel 1933 da
Franklin Delano Roosevelt. Per la prima volta il presidente si rivolgeva
direttamente agli americani, ai quali, nel corso di quelle
conversazioni, spiegò tra l’altro il New Deal . Obiettivo e nome
ambiziosi, ma Renzi è convinto che sia necessario far capire agli
italiani, attraverso una «strategia solida», che il Pese non è sotto
attacco e «ha tutti i numeri per agganciare la ripresa». Per raggiungere
il traguardo, però, bisogna che l’Europa «cambi la sua politica»,
perché «l’austerità sta letteralmente distruggendo la crescita». Ed è in
questa chiave che il presidente del Consiglio dà grande importanza
all’incontro che avrà il prossimo 29 gennaio a Berlino con la
cancelliera Angela Merkel.
Renzi si presenta a quel colloquio con
la certezza che «l’Italia non è un sorvegliato speciale» e non ha
«nessun complesso di inferiorità».
A Merkel il premier porrà sul
piatto la flessibilità («ce la devono dare», avverte) e gli aiuti alla
Turchia. Ma a Palazzo Chigi c’è chi è sicuro che in quel colloquio il
premier chiederà anche le dimissioni di Martin Selmayr, il capo di
gabinetto di Juncker che giorni fa ha attaccato il governo italiano
celandosi dietro l’anonimato della formula giornalistica «fonti Ue».
Ma
ieri Renzi non ha potuto tralasciare le più domestiche faccende dovute
al caso che si è aperto dopo l’appoggio dato da Verdini al governo. «Non
c’è proprio un bel niente da chiarire, la maggioranza non è mutata e
noi non abbiamo fatto nessuno scambio con Verdini», ha cercato di
tagliare corto, stufo delle «polemiche pretestuose» che si sono
sollevate anche nel suo partito sul voto del Senato. Il segretario del
Pd non vorrebbe che la minoranza utilizzasse la direzione di oggi per
cavalcare ancora «questa storia inesistente». E ai collaboratori si
rivolge con queste parole: «Quelli chiacchierano e io mi occupo delle
cose serie, faccio i fatti, non posso perdere tempo».
«Del resto»,
aggiunge il premier, sempre rivolto ai collaboratori, «non è la prima
volta che si sostiene che non ho i numeri, e poi ce li ho sempre, con
buona pace di chi non vorrebbe le riforme». E sul ddl Boschi, secondo
Renzi, «l’importante era avere i numeri e dimostrare che c’è una larga
maggioranza». Dopodiché, a suo avviso, «è normale che si aggiungano dei
consensi esterni, come è accaduto già altre volte». Il prossimo
obiettivo è il voto definitivo della Camera «in aprile», poi «pancia a
terra, andremo casa per casa per spiegare il referendum». Un
appuntamento, questo, al quale il premier dà grande importanza: lega la
sua permanenza in politica al risultato referendario. Anche se è un
atteggiamento che viene criticato nel suo stesso partito (lo ha fatto
ieri Bersani). Infatti, c’è chi lo accusa di volere un plebiscito sulla
sua persona. Ma lui respinge ancora una volta le critiche: «Nessuno
vuole indire un plebiscito — ripete ai fedelissimi — ma è una questione
di coerenza e di serietà, ho sempre detto che andavo al governo per fare
le riforme e se questo ddl si blocca, vuol dire che è impossibile
continuare a riformare e allora non ha senso che io vada avanti».
Ma
prima ci sono appuntamenti meno significativi che Renzi però non può
mancare. E infatti adesso il presidente del Consiglio tira dritto verso
il rimpastino, o, come preferisce chiamarle lui, le integrazioni al
governo. Dovrebbe chiudere il tutto già oggi. O al più tardi all’inizio
della prossima settimana.