Corriere 16.1.16
Bronzi d’Italia
Il museo di Reggio perde visitatori. Ecco come si spreca un’occasione
In
controtendenza rispetto al resto del Paese, nel 2015 le presenze sono
calate di oltre il 16 per cento, nonostante le due famose statue e altri
reperti di grande pregio. E il sito internet lascia allibiti per la sua
clamorosa inadeguatezza
di Pierluigi Battista
E
chi va male? I Bronzi di Riace. Tra i numeri trionfali (evviva!) dati
dal ministro Dario Franceschini sull’aumento dei visitatori nei musei
c’è un buco fastidioso. L’ha scovato, scrivendone sul sito
quellochenonho.net, Antonietta Catanese. La quale ha segnalato una
curiosa sfasatura nella notizia data dal ministero: ci sono l’aumento
del 40 per cento delle visite al «Vito Capialbi» di Vibo Valentia e
quello del 12 per cento all’archeologico di Crotone e il boom negli
incassi del 49 per cento al «Parco» di Locri. Ma manca il confronto col
2014 del museo di Reggio Calabria che ospita le celeberrime statue,
oltre ad altri pezzi che farebbero la fortuna di ogni esposizione
mondiale.
Da piangere: nell’anno migliore dei musei italiani,
quelli calabresi e perfino quello dei Bronzi perdono colpi. Nonostante
il rifacimento dello storico edificio reggino firmato da Piacentini,
restauro costato 33 milioni di euro, cioè il triplo degli undici
previsti. Nonostante gli anni impiegati per i lavori, non ancora finiti a
dispetto del limite fissato nel marzo 2011 per i 150 anni dell’Unità
d’Italia. Nonostante il boom turistico mondiale e l’Expo 2015…
Tutto
inutile: i visitatori di tutti i musei, i palazzi storici, i siti
archeologici della regione sono scesi l’anno scorso, rispetto al 2014,
da 401.634 a 357.212, con una perdita di 44.422 utenti. Perdita dovuta
per due terzi al museo reggino che ospita i guerrieri: da 195.998
visite, forse dovute anche all’emozione per il ritorno delle statue dopo
anni di esilio nell’androne della Regione, a 164.076. Un calo di oltre
il 16 per cento. Con un parallelo calo negli incassi, da 433.548 a
375.019 euro. La metà di quanto incassano le Grotte di Catullo e il
Museo Archeologico di Sirmione.
Colpa dei treni al Sud, troppo
pochi e troppo lenti? Dei pochi voli aerei? Dei cantieri sull’autostrada
Salerno-Reggio? Dei tour operator internazionali? Per carità, tutto
vero. Ma che sia solo colpa degli altri… Come chiamerebbero gli
stranieri il museo dei Bronzi? «Museo dei Bronzi». Il nostro si chiama
«Manrc»: Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria. Acronimo
scelto dal Mibact, il Ministero beni e attività culturali e turismo. A
sua volta così definito dall’Ubcsd, Ufficio burocratico creatori sigle
demenziali.
Per non dire del sito Internet. Dove nella homepage,
tutta in italiano tranne una colonnina in inglese, non solo non ci sono
la Testa del filosofo, il Kouros, la testa di Apollo Aleo o i Pinakes,
ma sono quasi assenti, salvo una fotina, i Bronzi. Clicchiamo «Buy
ticket»: «La pagina web non è disponibile». Quella «Informazioni e
guide» avverte oggi, a metà gennaio 2016, che il museo «a partire dal 27
Giugno e fino al 19 Dicembre 2015 sarà aperto» ogni sabato fino a
mezzanotte o che si può arrivare a Reggio con un volo Alitalia in
offerta: offerta scaduta. Quanto al «nuovo» museo da 33 milioni, nessun
cenno. Anzi, il sito ti prende pure per i fondelli col link
«allestimento (prima del restauro)». Cialtronerie da licenziamento
istantaneo. Con gogna.
Quelle meravigliose statue, che hanno avuto
la sventura di naufragare davanti a Riace e poi nel mare di chiacchiere
d’insulsa vanità, sono sempre state trattate, del resto, come peggio
non si poteva. Lo ricorda il libro Sul buono e sul cattivo uso dei
bronzi di Riace (Donzelli) a cura di Maurizio Paoletti e Salvatore
Settis, con saggi di Simonetta Bonomi, Gregorio Botta, Pier Giovanni
Guzzo, Carmelo G. Malacrino, Giuseppe Pucci, Mario Torelli.
Un
testo qua e là agghiacciante. Che dimostra come perfino una botta di
fortuna quale il ritrovamento di due capolavori immensi sia stata
sostanzialmente sprecata. Prima da archeologi saccenti che ripiegati sul
proprio ombelico, accusa Salvatore Settis, rimasero «sbigottiti e
increduli (…) giungendo perfino a incolpare (!) i mass media di un
successo che non riuscivano a capire perché sfuggiva alla loro routine
accademica». Poi dall’abuso dei Bronzi, denuncia Maurizio Paoletti,
trattati troppe volte come «semplici feticci del nostro “marketing
culturale”».
E così, in «un’assurda sagra del kitsch», ecco che
«copie dei guerrieri si vendono come immaginette religiose vicino ai
santuari» e ambulanti smerciano «riproduzioni in miniatura, ma anche
foulard, portachiavi, cavatappi, portacenere, fermalibri, penne a
sfera»… Il tutto in versione anche deluxe con copie dei guerrieri in oro
«in vendita a partire da quasi 40 milioni di lire» e perfino, come
denunciò Luigi Lombardi Satriani, «bambole gonfiabili, quelle erotiche
di tipo “giapponese”, con le sembianze dei Bronzi».
Per non dire
dei Bronzi usati per vendere le automobili Renault o l’acqua di Colonia
«Possanza», per raccomandare la prevenzione del tumore alla prostata,
per invitare alle stagioni teatrali (il guerriero con la mascherina!),
per esaltare la calabresità della liquirizia, per presentare la nuova
maglietta della Reggina calcio, per sostenere la tesi che la cultura
(oddio, il bronzo benzinaio!) è «il petrolio d’Italia» e perfino per
spacciare («uova grandissime!») l’uovo reggino.
Fino ai capolavori
del «pornokitsch»: gli «Sbronzi di Riace» coi boccali di birra e poi in
uno spot della Regione, che fanno «pari montagna, dispari mare», o
addirittura superdotati nel porno-fumetto «Sukia», dove soddisfano ogni
sogno pecoreccio. Una carrellata da incubo. Che fa a pezzi tutte le
vanterie di chi tuona «Noi! Noi, gelosi custodi di una civiltà
millenaria!». E obbliga tutti noi a chiederci: ma ce li meritiamo?