venerdì 15 gennaio 2016

Corriere 15.1.16
«Criticare Netanyahu non significa essere contro Israele»
di Massimo D’Alena

Caro direttore,
sono rimasto molto colpito dalla lettera dell’ambasciatore di Israele, Naor Gilon. Innanzitutto perché, se ogni qualvolta che viene criticato un governo straniero l’ambasciatore interessato scrivesse un articolo sul Corriere della Sera , ciò finirebbe per occupare per intero il giornale. Pensiamo, ad esempio, al povero ambasciatore russo che dovesse rispondere per iscritto a tutte le critiche al presidente Vladimir V. Putin. Ma, evidentemente, l’ambasciatore di Israele interpreta in modo molto attivo e dinamico il suo ruolo, partecipando – e non solo con articoli – alla vita politica del nostro Paese e trasformando l’Ambasciata di Israele in un centro di iniziative politiche che dispensa giudizi su questo o quell’esponente italiano. Nel mio caso, il giudizio va oltre la politica, essendo io indicato come un «ossessionato», dunque probabilmente come una persona vittima di una patologia.
Ben poche sono, invece, le risposte di merito alle osservazioni che mi sono permesso di fare. Non voglio ripercorrere la storia dei rapporti tra Israele e Libano. L’ambasciatore sorvola sul fatto che Israele ha invaso per tre volte quel Paese, provocando la morte di decine di migliaia di vittime civili. Nel corso di queste invasioni, le forze armate israeliane si sono tra l’altro rese complici dell’orrendo massacro di ottocento fra donne e bambini palestinesi compiuto dai loro alleati falangisti nei campi profughi di Sabra e Chatila. Resta, questo, uno degli episodi orribili dell’interminabile conflitto mediorientale. È comprensibile che questi fatti, insieme al perdurare dell’occupazione israeliana di una parte – seppur piccola – del territorio libanese, non abbiano seminato in Libano un particolare sentimento di simpatia verso Israele.
Per venire al tema essenziale sollevato nella mia intervista, e cioè la critica al governo Netanyahu per avere di fatto cancellato, attraverso l’espansione delle colonie e la progressiva annessione di Gerusalemme, la prospettiva di uno Stato palestinese, l’ambasciatore non fornisce alcuna risposta. D’altro canto non sarebbe facile, dato che questa politica suscita critiche da parte dell’intera comunità internazionale e anche all’interno di Israele. Una politica che finisce per spingere una parte del mondo palestinese verso una radicalizzazione estremistica, danneggiando la stessa sicurezza di Israele e influendo negativamente sui rapporti tra mondo arabo e Occidente. Non ho mai detto che ciò sia la causa del terrorismo, come mi accusa l’ambasciatore. Ma questa situazione certo non aiuta a isolare i fondamentalisti e gli estremisti nel mondo arabo.
Sono sempre stato contrario a un Iran armato con armi nucleari e ritengo importante che l’accordo raggiunto eviti tale rischio (accordo voluto da Onu, Usa e Ue, ma contrastato da Israele). Tuttavia, è opportuno ricordare che Israele è uno dei pochi Paesi al mondo, insieme alla Corea del Nord, che non ha voluto firmare il Trattato contro la proliferazione nucleare e che si è dotato – in segreto – di un arsenale atomico. Non mi pare nelle migliori condizioni per predicare il disarmo nucleare.
Fortunatamente Israele è un Paese democratico dove ci sono persone che sostengono posizioni non lontane da quelle che ho ricordato. E che sanno bene che criticare la politica del governo Netanyahu non significa essere contro Israele. Termino sottolineando che quando l’Italia si assunse la responsabilità della missione Unifil tra Israele e Libano — ed io ero ministro degli Esteri — lo fece anche per proteggere Israele, i suoi confini e la sicurezza dei suoi cittadini.