Corriere 11.1.16
Lo scrittore Hemon stronca il Tarantino «psicopatico»
di Matteo Persivale
Stanley
Kubrick ha definito, con Arancia Meccanica , i parametri di una
questione destinata ad accompagnarci finché esisterà il cinema. Quanta
violenza si può mostrare sullo schermo, e con quali modalità, prima di
arrivare al voyeurismo, alla complicità dello spettatore? Il dibattito è
tornato, prepotente, ieri su Twitter grazie allo scrittore Aleksandar
Hemon, bosniaco naturalizzato statunitense (@sashahemon) che ha
massacrato The Hateful Eight , il nuovo, violentissimo film di Tarantino
(in uscita in Italia il 4 febbraio), con una raffica di tweet.
«Psicopatico senza talento», «Non ha mai smesso di masturbarsi nel retro
di una videoteca», «misogino», «la sua paura del silenzio è paura degli
esseri umani», «i suoi personaggi sono il nulla», «grave patologia», «i
suoi personaggi sono insetti chiusi in una scatola di fiammiferi»,
«un’orgia di annientamento dei corpi degna di de Sade», «normalizza la
tortura». Ultimo tweet: «Tarantino se ne vada aff…».
Una
«recensione», quella dello scrittore (tra le sue opere Amore e ostacoli e
Il libro delle mie vite , editi da Einaudi) che tra l’altro è piena di
«spoiler» che rivelano molto del finale del film (i lettori sono
avvisati). Di sicuro gli insulti non aiutano ad analizzare un film — o
un testo — ma indubbiamente The Hateful Eight è fatto per provocare
reazioni forti, di entusiasmo o rifiuto.
Tarantino con il suo
western — l’azione avviene quasi per intero, a parte il prologo e
qualche flashback, in un solo ambiente durante una tempesta di neve — ci
provoca ancora una volta. Ventiquattro anni fa l’abbiamo conosciuto
grazie a Le iene : uno dei rapinatori mozzava un orecchio a un
poliziotto prima della mattanza finale. E poi, attraverso gli anni, la
testa che esplode in Pulp Fiction , le sciabolate di Kill Bill ,
l’orrore di Django Unchained . Sono film realistici? Difficile
sostenerlo: è pop art della violenza, il sangue usato come un elemento
della tavolozza. Godard, idolo di Tarantino, diceva del suo film con
Belmondo: «Non c’è violenza in Pierrot le Fou. C’è soltanto il colore
rosso».